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Nell’Europa senza lanciatori, l’Esa si affida a Space X. La versione di Spagnulo

La firma del contratto biennale tra l’Agenzia spaziale europea (Esa) e SpaceX è un fatto epocale e riporta la capacità spaziale europea indietro nel tempo. Ciò dovrebbe farci riflettere sull’importanza di possedere un accesso allo Spazio sicuro, sulla rilevanza di sviluppare programmi di ampio respiro e sul possibile utilizzo dello Spazio come mezzo di influenza politica. Airpress fa il punto con l’ingegnere ed esperto aerospaziale, Marcello Spagnulo

SpaceX ha firmato un contratto biennale con l’Agenzia spaziale europea (Esa) per lanciare quattro satelliti Galileo a bordo del Falcon 9, due all’anno. La Commissione europea e gli Stati membri devono ancora accettare il testo finale, ma ciò potrebbe accadere entro la fine dell’anno. Un cambio di passo importante: sarà il primo lancio dei satelliti Galileo fuori dal territorio dell’Unione (i lanci sono sempre avvenuti dalla Guinea francese) e per la prima volta, la società privata di Musk viene incaricata di lanciare dei satelliti dell’Unione europea contenenti equipaggiamento classificato. Il punto però è che l’Europa si trova senza un sistema di lancio dopo decenni di sostanziale autonomia strategica nell’accesso allo Spazio, è il commento ad Airpress di Marcello Spagnulo, ingegnere ed esperto aerospaziale, che ha sottolineato come questa situazione, benché contingente, evidenzi una degradata visione strategica dei programmi spaziali europei e riporti il Vecchio continente indietro di decenni.

L’importanza di Galileo

I satelliti Galileo possiedono una notevole rilevanza strategica per l’Europa poiché il sistema di navigazione satellitare del Vecchio continente si basa sulla loro tecnologia, fornendo un certo grado di autonomia nei confronti del Gps americano oltre che, ovviamente, dal Beidou cinese e del Glonass russo. Sul sistema di posizionamento si appoggiano anche le Forze armate europee e i servizi di sicurezza. Il lancio di questi nuovi satelliti mira a rafforzare la rete, rendendola più resiliente contro possibili e inaspettati malfunzionamenti. La necessità di potenziare il servizio è quindi legata a una questione di robustezza del segmento, più che di esigenza impellente. Inoltre, bisogna considerare che ci sono già dieci satelliti pronti per essere lanciati, mantenerli in deposito sarebbe uno spreco enorme di risorse.

È necessaria una riflessione strategica

SpaceX ha già lanciato un satellite europeo, il telescopio Euclid, su un Falcon 9 a luglio scorso, un importante satellite per la scienza dell’Universo. Inoltre, l’Europa ha deciso di intraprendere, in collaborazione con SpaceX, la EarthCare mission con lo scopo di studiare le nuvole e le radiazioni. Sono in atto quindi una serie di collaborazioni tra Esa e SpaceX sebbene in passato l’Europa avesse dimostrato una certa riluttanza all’idea di utilizzare la compagnia del magnate sudafricano – naturalizzato statunitense – per lanciare i propri satelliti, perseguendo l’idea di favorire la propria autonomia nel lancio di infrastrutture critiche spaziali. Tuttavia, questo principio strategico si scontra con la realtà: i ritardi nel programma Ariane 6 e l’impossibilità di utilizzare i razzi Soyuz privano l’Europa della propria capacità di lancio per i satelliti Galileo. “La mancanza di alternative evidenzia – ha detto Spagnulo – la debolezza di una visione strategica di lungo periodo”. La situazione, benché contingente, dovrebbe portare i decisori politici europei ad attuare una riflessione importante sulla direzione che si intende intraprendere per posizionare il continente nei prossimi anni. Secondo Spagnulo, “la questione è ben più complessa e non si limita al solo fatto di non avere accesso autonomo allo Spazio che, appunto, rimane una condizione limitata nel tempo. Il perché si è giunti all’attuale situazione dovrebbe, invece, stimolare un’analisi più ampia sullo stato del programma spaziale europeo, che oggi è in una condizione inaccettabile per una potenza che punta ad avere un ruolo-chiave nello scacchiere geopolitico mondiale”.

L’Europa senza vettori

“L’Europa tornerà a possedere la propria autonomia strategica nell’accesso allo Spazio, ma nei fatti oggi non ce l’ha e occorre interrogarsi su come si è arrivati a questa situazione”, ha ribadito l’ingegnere. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Europa ha smesso di utilizzare i lanciatori russi Soyuz, facendo affidamento sulle sole capacità dei razzi Ariane e Vega. Le sfide tecniche, che caratterizzano ogni fase dello sviluppo dei razzi, hanno comportato un rallentamento del programma Ariane 6, che dovrebbe essere operativo nel 2024. Il suo predecessore, ritirato quest’anno, “ha lasciato l’Europa senza un grande razzo vettore”, ha spiegato Spagnulo. Il Vega C, lanciato con successo ad ottobre e il cui ritorno in orbita è previsto per il 2024, è comunque un lanciatore con minore capacità di carico sebbene con potenzialità di crescita.

La poca lungimiranza del Vecchio continente

Per Spagnulo, l’attuale situazione “è la conseguenza di scelte politiche, come quella di affidarsi ai lanciatori russi per questioni di opportunità economica, preferendo la convenienza agli investimenti sui lanciatori europei”. Tema, questo, “particolarmente caro all’Italia: il Vega aveva e ha margini di evoluzione per poter sostituire il lanciatore russo, ma questa possibilità non ha avuto consenso in Europa, a ulteriore dimostrazione di una scarsa lungimiranza strategica e di una frammentazione di politica industriale tra gli stati membri”. Fino a quando l’Europa non avrà di nuovo la sua autonomia strategica nell’accesso allo Spazio “non avrà altra scelta se non quella di utilizzare SpaceX che di fatto è la monopolista commerciale del mercato dei servizi di lancio” ha ribadito Spagnulo.

Accesso allo Spazio, ma a che prezzo?

L’assenza di lanciatori non permette all’Europa di accedere allo Spazio, una circostanza che Spagnulo equipara allo status del settore spaziale europeo di cinquant’anni fa, quando “avevamo i satelliti, ma non c’erano razzi vettori pronti”. In quel frangente, come oggi, “furono gli Stati Uniti a venire in soccorso, vincolando però l’utilizzo dei loro lanciatori a un patto di non concorrenza”. Oggi, non sembrano esserci restrizioni commerciali, ma, come suggerito da Spagnulo, “è lecito chiedersi se Elon Musk utilizzi il servizio di SpaceX come leva politica per mitigare la postura europea su temi sensibili al miliardario, come ad esempio i sussidi per le fabbriche di Tesla o un ammorbidimento delle regole del Digital service act”. In effetti, il rapporto tra le istituzioni europee e Musk è difficile. Questo mese, per esempio, il commissario Thierry Breton ha più volte accusato il social network X di contribuire alla diffusione di contenuti violenti e fuorvianti sugli scontri tra Israele e Hamas.

Lezioni da apprendere

“Se l’Europa avesse avuto maggiore visione strategica e si fosse dotata di un efficace sistema di controllo e gestione dei programmi non ci troveremmo in questa situazione”, ricorda Spagnulo. La condizione, benché provvisoria, “dovrebbe motivare i decisori politici a una riflessione seria sulla rotta della politica spaziale UE”. Per Spagnulo, sono tanti i temi che dovrebbero essere affrontati, dalla governance “pentapartito” (Stati membri, Commissione, Parlamento europeo, Esa, Euspa) che sicuramente non contribuisce a creare maggiore efficienza, all’attuale quadro legislativo. Non dovremmo dimenticare che i trattati costitutivi dell’Ue non permettono un’armonizzazione delle politiche spaziali, contribuendo alla frammentazione interna.

Serve un dibattito pubblico

A ciò bisogna aggiungere un’altra questione, quella dell’attenzione dell’opinione pubblica al tema dello Spazio e della protezione delle sue infrastrutture. Tema che per Spagnulo in Europa è poco sentito. A differenza, per esempio, degli Stati Uniti, dove la fine del programma Space shuttle nel 2011 aveva provocato forti dibattiti pubblici per il fatto che per lanciare astronauti nello Spazio gli Usa avrebbero dovuto acquistare passaggi dalla Russia. In questo senso anche i programmi spaziali europei dovrebbero diventare parte integrante del dibattito pubblico, e “speriamo – rileva Spagnulo – che anche questa questione possa diventare tema di dibattito politico per le elezioni europee del 2024, anche se temo che difficilmente lo sarà”.

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