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Una legge di bilancio prudente che guarda ai mercati. Scrive Paganetto

Se è vero che l’esigenza primaria è, in questo momento, quella di ottenere con la legge di bilancio la fiducia dei mercati, occorre iniziare subito dopo un’azione che deve coprire l’intera legislatura con un’attività riformatrice che eserciti un’azione di rinnovamento della nostra economia. Il commento di Luigi Paganetto, fondatore del Gruppo dei 20

Ha ragione il il ministro Giorgetti quando dice che non è tanto il giudizio della Commissione Ue a far paura ma la valutazione dei mercati che comprano il nostro debito pubblico. Da qui la prudenza realista enunciata nell’audizione sulla Nadef 2023 che ha trovato conferma in Consiglio dei ministri dove l’approvazione del disegno di bilancio per il 2024 è stata accompagnata dalla dichiarazione del vicepremier Salvini circa l’intenzione del governo di approvarla senza apportarvi emendamenti.

Anche se si tratta di una scelta di per sé riduttiva sul piano parlamentare ne va apprezzato il segnale che dà ai mercati e il contributo a stabilizzarne le aspettative. Tanto più necessario visto che la manovra predisposta dal governo è il risultato di un difficile equilibrio tra gli effetti del rallentamento dell’economia mondiale certificato dal Fmi e dell’aumento dei tassi d’interesse su bilancio e debito pubblico, per non parlare di quelli determinati dall’irresponsabile vicenda del bonus al 110.

Ed è una manovra di circa 24 miliardi che risulta fragile sia perché assume un tasso di crescita atteso dell’1,2 % per il prossimo anno, a fronte della stima dell’Ue dello 0,8%, che per la scelta di puntare su 20 miliardi di privatizzazioni il cui percorso é ancora indefinito, per proiettare nei prossimi anni una modesta riduzione del debito/Pil intorno al 140% e una riduzione del deficit dal 5,3% di quest’anno al 3% del 2026
Ma è anche una scelta che sarà tanto più convincente se sarà accompagnata dalla volontà del governo di considerare la legge una premessa necessaria per acquisire la fiducia dei mercati ai fini dello sviluppo. Ed essa sarà tanto più convincente se sarà subito seguita dalle riforme necessarie ad evitare le conseguenze del circolo vizioso tra alto debito, bassa crescita e disavanzi di bilancio con cu conviviamo dalla fine degli anni 90 .

La sede per realizzare quest’obbiettivo non è però quella in cui si approva il bilancio, a dispetto dei tanti commenti che rilevano, la mancanza di un progetto per la crescita. L’approvazione del bilancio è un atto fondamentale, non c’é dubbio. Ma non è la sede in cui si definisce la strategia per lo sviluppo del Paese, quanto piuttosto quella in cui si verifica l’equilibrio tra le entrate e le spese dello Stato. La manovra annuale è il modo di completare e riportare a coerenza, in termini di compatibilità macroeconomica, l’azione del governo.

I 24 miliardi della manovra di quest’anno nascono dalla coperta corta degli 8 miliardi disponibili in bilancio, anche per tagli di 2 miliardi imposti ai ministeri, cui si sono aggiunti i 16 miliardi di extra gettito autorizzati da Parlamento, attraverso l’aumento del debito. L’obbiettivo del Governo è quello di confermare per il prossimo anno la riduzione del cuneo fiscale (10 miliardi) e così difendere il potere di acquisto dei redditi medio-bassi, avviare la riforma fiscale con accorpamento delle attuali quattro in tre aliquote (5 miliardi), confermando la flat tax per gli autonomi, rinnovare i contratti in sanità e nella Pubblica amministrazione (circa 7 miliardi), dare asili nido gratis per il secondo figlio, rivedere la rivalutazione delle pensioni all’inflazione. Ma al di là di queste scelte che definiscono la volontà del governo di tener conto della caduta, via inflazione, del potere di acquisto dei titolari di reddito medio bassi ,occorre guardare all’andamento del Pil se si vuole trarre vantaggio da una legge prudente in materia di deficit e debito.

Ciò si potrebbe fare collocando la manovra di quest’anno all’interno di un percorso pluriennale che, nel rispetto dei numeri del Nadef, faccia, di seguito, un primo passo per rimettere in cammino la nostra economia su un sentiero diverso da quello dello zero virgola di crescita che si prospetta per quest’anno, se le previsioni della Commissione Ue risulteranno più centrate di quelle del governo. In verità il progetto per uno sviluppo sostenibile lo abbiamo già ed è, che ci piaccia o no, il Pnrr che prevede di qui al 2026 investimenti per 235 miliardi, aggiungendovi i 13 miliardi del React Eu e i 30 del Fondo Complementare.

Vi sono previsti anche gli investimenti in sanità di cui tanto si parla in questi giorni. Non c’è dubbio che i caratteri del Pnrr furono influenzati alla nascita dalla volontà europea di sostenere la domanda (piuttosto che la produttività) per contrastare con il Next Ge Eu, la profonda recessione seguita alla crisi pandemica. Ciononostante non c’é dubbio che la scelta di puntare sulla transizione energetica e digitale ci offre una grande opportunità di rinnovamento in materia di tecnologia, innovazione e infrastrutture fisiche, in un quadro, non bisogna dimenticarlo, in cui l’Europa è impegnata in una sfida energetica e competitiva globale decisiva per il suo futuro con attori principali Usa e Cina e Paesi emergenti.

Ed è soprattutto attraverso le riforme, a cominciare da concorrenza, giustizia e pubblica amministrazione che c’è per noi l’occasione per far crescere quella produttività che da troppo tempo, dalla fine degli anni 90 in poi è stagnante. Il punto è dunque che che se è vero che l’esigenza primaria è, in questo momento quella di ottenere con la legge di bilancio la fiducia dei mercati, occorre iniziare subito dopo un’azione che deve coprire l’intera legislatura con un’attività riformatrice che eserciti un’azione di rinnovamento della nostra economia creando un clima favorevole agli investimenti privati, all’innovazione e alla creatività spezzando il circolo vizioso in cui da troppi anni siamo bloccati.

Questa prospettiva deve essere accompagnata da un forte recupero dell’evasione fiscale e da una ricomposizione del bilancio che è del tutto fattibile in un quadro di quasi 1.000 miliardi di spesa. Non si tratta soltanto di intervenire sui tanti bonus iscritti in bilancio ma di proseguire nel disboscare la giungla delle detrazioni sull’imposta dei redditi ,operazione peraltro avviata già da quest’anno. Solo così si può realizzare quel cambiamento nell’erogazione dei servizi pubblici che evitando code d’attesa e diseguaglianze distributive crei quell’equità che, va detto, non può essere realizzata dalla sola riforma fiscale. Serve, naturalmente una forte volontà politica, capace di fronteggiare le tante resistenze corporative che devono essere vinte sia a livello di bilancio che di strategia di crescita. C’è da augurarsi che sia questa la prospettiva in cui è intenzionato a muoversi il governo.

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