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Epifania, l’umanità in ricerca senza dogane o fili spinati

Va benissimo rappresentare ai bimbi questo incontro dei magi con Gesù sotto forma di ulteriore scambio di doni. Ma se poi il tradizionalismo cancella, di fatto rigettandola, la sostanza della tradizione, e cioè che con il loro viaggio quei magi, come la vecchietta che vola sulla sua scopa, hanno contribuito a riconoscere che davanti a quel bambino tutta l’umanità trova la sua unità, allora bisogna porsi qualche domanda

Anche il cristianesimo si vorrebbe, almeno così dicono in molti, legato alle sue tradizioni. Tra queste però ne trovo alcune molto importanti non solo trascurate, ma addirittura dimenticate, rimosse. In qualche caso sottoposte a palese deformazione. Ed è il caso la festa dell’Epifania, che come chiunque abbia curiosato almeno una volta in vita sua in qualcosa di cristiano sa non avere nulla a che fare con befane, carbone e dolcetti vari (come d’altronde lo stesso Natale non ha a che fare con sdolcinatezze, ma con l’esclusione).

L’Epifania, per chi crede ovviamente, ha a che fare con dei signori, non sappiamo quanti, venuti da molto lontano, certamente da Oriente (non da Occidente) per rendere omaggio a Gesù. Siccome quei popoli a cui si accenna, oltre ad essere di altra religione oltre che etnia, si occupavano di astronomia, si usa legarli all’immagine della stella cometa che si posa sulla grotta dove è nato Gesù, indicandogli il luogo dove era il bambino a cui rendere omaggio.

Ma come seguissero quella stella non lo sappiamo, mentre i doni che portano corrispondono a una tradizione simbolica: oro, incenso e mirra, riconoscimenti di regalità, sacralità e morte redentrice. Venerato Gesú nella grotta, è l’ultima cosa che sappiamo di loro, ripartono per il loro Paese. Anche i nomi dei tre sono simbolici, indicando persone dei continenti al tempo conosciuti. Quindi il numero dei magi, i nomi dei magi e il loro essere re sono frutti di simbolismi di nostra fruizione e invenzione. Ciò che resta è il loro viaggio, segno di ricerca, e il loro ritorno, segno di permanenza nella propria cultura: Matteo ci dà conto dell’arrivo di questi signori, probabilmente medi, molto probabilmente professi mazdei, provenienti “da Oriente”.

Perché tutto questo? Mi sembra evidente: vuol dire che davanti a Gesù non esiste più divisione alcuna di razza, di lingua e di cultura: “in quel Bambino, tutta l’umanità trova la sua unità”. In queste parole, di Francesco, c’è l’essenza di una tradizione affermata dal Vangelo, ma che rischia di sparire se non la si ricorda tra carboni zuccherati, calze nere con fiocchi rossi, scope di saggina: forma divertente che nulla ha però a che fare con la sostanza di ciò che si tramanda. La forma va bene, ma se consente di resistere nel racconto popolare alla sostanza.

Siccome nella fede nulla deve o dovrebbe, almeno a mio avviso, esservi di dolorista, va benissimo rappresentare ai bimbi soprattutto questo incontro dei magi con Gesù sotto forma di ulteriore scambio di doni, da parte loro a Gesù ed a noi dalla simpaticissima vecchietta che vola con la sua scopetta. Va bene anzi io dico che va benissimo! Ma se poi il tradizionalismo cancella, di fatto rigettandola, la sostanza della tradizione, e cioè che con il loro viaggio quei magi, come la vecchietta che vola sulla sua scopa, hanno contribuito a riconoscere che davanti a quel bambino tutta l’umanità trova la sua unità, allora bisogna porsi qualche domanda.

Infatti in questo tempo di identitarsimi in guerra tra di essi, di etnicismi feroci, di chiusure blindate dei confini a chiunque abbia anche disperato bisogno di attraversarli, di proposte di espulsione di chi dà fastidio con la sua stessa presenza, quel messaggio è rivoluzionario. E’ rivoluzionario rispetto a quanto dicono i leader di tutto il nostro mondo occidentale o orientale, settentrionale o meridionale.
Eppure nessun tradizionalista si è levato a difesa dell’Epifania.

Loro difendono tutto ciò che ritengono tradizionale. Ma lo è? E in che senso? Mi distanzio per poche righe per far una esempio: che io sappia Gesù non ha mai definito qualcuno “irregolare”. Ma per loro solo l’idea di una affettuosa benedizione alla vita di “irregolari” merita denunce o comportamenti scismatici. Come un tempo vorrebbero urlare di nuovo, “Anatema”!!!!!!! Non lo sanno che ormai tantissimi testi cattolici assicurano ( basta leggere il racconto biblico per capirlo) che a Sodoma Dio condanna la negazione dell’ospitalità?

Inoltre, se c’è una certezza che il Vangelo sancisce, questa è che siamo tutti peccatori, giudicare non è affar nostro; basta ricordare il caso dell’adultera, quando ne evita la lapidazione dicendo “di chi voi non ha peccato scagli la prima pietra”. Ma questa tradizione evangelica si è persa nella pretesa di giudicare chiunque, di condannare i miscredenti, i non credenti, gli eretici, le streghe, ora soprattutto gli “irregolari”, la cui compagnia Gesù non mi risulta rifiuti nel testo evangelico. Se rifiuta qualcuno, dall’ordine apostolico, è il ricco che non rinuncia ai suoi beni per seguirlo: evidentemente una precondizione per accedere non al paradiso ma all’ordine apostolico sì, che chi legge i fatti curiali (anche recenti) spesso dimentica. Ma ciò che mi interessa affermare è che dalla sua compagnia, ad esempio in occasione della moltiplicazione dei pani, nessuno fu escluso, a nessuno fu chiesto di mostrare il certificato di buona condotta. Eppure quella distribuzione dovrebbe dire qualcosa ai credenti…

Tornando alla festa dell’Epifania a me sembra che le tracce della vera tradizione siano pochissime: i dolciumi, le simpatiche vecchiette sulla scopa che riempiono le nostre piazze in questa giornata, non ci ricordano, neppure in modo vago, giocoso, giustamente giocoso, fanciullesco, popolare, la vera novità di quel messaggio: davanti a quel bambino non esiste più divisione alcuna: di razza, di religione e così via. Dunque la loro storia non è un mito di cui conta assimilare il fattarello, ma riconoscervi quel simbolo della ricerca di cui hanno parlato, dopo spiegazioni assai più approssimative, Benedetto e Francesco. In precedenza Pio X arrivò a parlare di magi che ci mostrano la grotta di Betlemme come una scuola.

Il loro ruolo divenne chiaro se si considera che Francesco ha saputo invitarci a scorgervi non figure ferme nel tempo, ma “uomini e donne in ricerca“, non solo uomini e donne di ieri, ma soprattutto uomini e donne di oggi, impegnati in una “ricerca che non ha mai fine” fino a quando non giunge a trovare la Luce. È la ricerca che li rende nostri simili, non il loro ingresso nel nostro gruppo. I magi non rappresentano una umanità omologata, stereotipata, ma, come ha detto Francesco, incarnano l’uomo pronto “ a riconoscere che i criteri di Dio sono molto diversi da quelli degli uomini, che Dio non si manifesta nella potenza di questo mondo, ma si rivolge a noi nell’umiltà del suo amore”. Quell’amore che il tradizionalismo nega a chiunque non abbia tutti i bollini in regola e che la realtà contemporanea, impaurita dalla globalizzazione, restringe al noto, alla tribù.

L’illusione assolutista della “cristianità” ha caratterizzato il Medio Evo. Quando è fallita soprattutto grazie all’impensabile resistenza dell’islam, alcuni hanno negato il senso plurale del disegno divino come ci appare già nella venerazione dei magi, rinserrandosi in un rifiuto della modernità che si riassume nell’ illogicità dello scontro di civiltà. Se noi guardiamo i fondamentalisti d’oggi non vediamo un’evidente omogeneità di rigori ed esclusioni? E se guardiamo le espressioni spirituali della fede non vediamo una convergenza nell’amore per l’umanità?

L’Epifania è dunque la festa della ricerca, che nessuno esclude nella sua realtà umana. Per questo i tradizionalisti a me sembra che abbiano bisogno di recinti, barriere; un muro davanti ai magi, a chiunque restando se stesso sia in autentica ricerca. È questo che rende per loro Francesco un’anomalia. Francesco è il Papa dell’Epifania, non dell’ uniformità, perché per lui i magi si convertono alla vera fede, quella nell’amore di Dio.

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