Skip to main content

La conferenza di Meloni e appunti per una nuova Italia. Scrive Fracchiolla

La vera scommessa di Giorgia Meloni è dimostrare che non vi è differenza tra il leader di partito di lotta e il capo di governo moderato, ma che può governare con piglio e autorevolezza, costruiti con lavoro, serietà, responsabilità e competenza. L’analisi di Domenico Fracchiolla, professore di Storia delle Relazioni internazionali Università Mercatorum, Luiss

La lunga conferenza stampa a tutto campo di Giorgia Meloni è da subito diventata oggetto di dibattito su contenuti, significati e possibili imprecisioni. Le questioni economiche hanno interessato almeno 10 risposte in senso stretto e altrettante in senso più ampio, su 44 domande. Ogni valutazione di merito dovrebbe tener conto di due considerazioni preliminari. La prima è che un Paese refrattario al cambiamento, bloccato in veti contrapposti di gruppi di interesse e consorterie sclerotizzate, la levata di scudi contro un’azione riformatrice è ampia e agguerrita. Esistono ancora, infatti, grandi consorterie parapolitiche che lucrano nelle inefficienze e negli sprechi, colonizzano ampi settori socio-economici con minoranze intense, privilegi di stato, amministratori di 40000 partecipate, sindacati compiacenti, tutti in difesa piccoli e grandi privilegi. La seconda considerazione è che la generosità delle intenzioni e l’equilibrio interno dei provvedimenti del governo di Giorgia Meloni non bastano. Ci vuole molto coraggio. La nuova vision (in formazione), cioè la proposta di una “nuova” Italia, come nel dopoguerra, deve esplicitarsi, vedersi e conquistare i cuori e le menti, lontano dalle emozioni delle urne.

Giorgia Meloni, per lanciare un messaggio chiaro, ha ripetuto 3 volte di non essere ricattabile. Procedendo per gradi, ha raggiunto la stabilità politica, risultato potenzialmente storico, tanto da poterla inserire di diritto, se resiste, nel più longevo esecutivo della storia repubblicana; lavora da tempo all’evoluzione di FdI in una grande forza conservatrice, sottolineando il senso di alta responsabilità cui tutti devono adeguarsi e accettando il confronto sui temi scivolosi del parlamentare pistolero e del familismo; ha iniziato da qualche mese a progettare la trasformazione dell’Italia, il compito più importante che darà senso e qualificherà i precedenti risultati. I segnali che provengono dalla prima Manovra di bilancio politicamente attribuibile a questo governo sono timidi, in verità, ma reali, come già rilevato. Giorgia Meloni ha dichiarato di voler confermare le misure e spera di migliorarle nel 2024.

Le critiche alla conferenza stampa si sono concentrate su temi contingenti e non dirimenti, come il fact checking delle stime della crescita economica, valutata dalla Meloni più alta della media europea, a differenza di quanto sostenuto da Commissione Ue, Fondo Monetario e Istat, sul taglio delle tasse che in realtà non è finanziato con riduzioni di spesa, ma con maggior deficit, e sul parare negativo della Commissione alla mappatura delle concessioni balneari. In realtà, l’attenzione dovrebbe concentrarsi su temi generali e strategici, come il significato prospettico della politica economica, che deve completare il percorso di maturazione e caratterizzarsi chiaramente in senso liberale. Il presidente del Consiglio si è concentrato sulle riforme della giustizia e della burocrazia, che possono migliorare l’attrattività degli investimenti, intercettare la voglia di Italia nel mondo e evidenziarne il potenziale inespresso. Queste riforme sono fondamentali, ancorché difficili, ma non bastano. La grande riforma strategica è il consolidamento dell’economia di mercato, in un paese ad economia mista, da realizzarsi con un’azione più coraggiosa non solo in materia fiscale, ma con tagli decisi della spesa pubblica improduttiva, liberalizzazioni e concorrenza. La ragionevole aspettativa di riduzione dei tassi d’interesse, i dati economici favorevoli e l’ottimo accoglimento dei mercati (lo spread stabile sui 160 punti base) consentono spazi di manovra.

L’attenzione di Meloni verso la corretta applicazione dell’Intelligenza Artificiale nel mercato del lavoro deve accompagnarsi ad un approfondito e partecipato dibattito sul libero mercato in settori destinati al declino senza riforme di competitività e concorrenza, per guardare al futuro con una prospettiva nuova e modernizzatrice, non solo per evitare le procedure di infrazione Ue. L’alternativa sono inutili battaglie di retroguardia e sterili giustificazioni all’inazione. Come rilevato da Giavazzi sul Corriere di oggi, in tema di privatizzazione, le parole di Meloni sulla riduzione della quota dello Stato in Poste, senza ridurre il controllo pubblico, insieme all’ingresso di quote minoritarie di privati in Ferrovie dello Stato evidenziano ancora ritardi importanti. Una linea politica liberale ha bisogno di una direzione chiara che produca effetti reali per poter essere apprezzata e giudicata. Allo stesso modo, le questioni dei balneari e degli ambulanti evidenziano l’urgenza di periodi di transizione che tutelino investimenti, risorse generazionali e familiari, ma che conducano alla fine delle rendite di posizione e al libero mercato come unica prospettiva di finale per questi come per altri settori protetti (ad esempio i tassisti).

Le risposte di ampio respiro del presidente in merito alle difficoltà del Decreto flussi e allo stop dell’accordo sulla Via della Seta si pongono nella stessa direzione e sono tese a creare un nuovo approccio all’economia, in questo caso sul piano internazionale, che valorizzi le risorse dell’Italia e consenta di vincere come sistema paese la competizione globale. Non solo la questione dei migranti, da risolvere in modo strutturale, ma un cambio di paradigma nel rapporto con il continente africano. L’Africa è una grande opportunità di sviluppo, in chiave energetica, geopolitica ed economica, di cui il Piano Mattei può diventare un modello. La volontà espressa da Meloni è di valorizzare l’occasione della prossima presidenza italiana del G7 per sviluppare questi temi. Nello stesso senso, il nuovo rapporto con la Cina (e le aperture verso l’India) sono indirizzate alla ridefinizione di più efficaci politiche che perseguano l’interesse nazionale.

La vera scommessa di Giorgia Meloni è dimostrare che non vi è differenza tra il leader di partito di lotta e il capo di governo moderato, ma che può governare con piglio e autorevolezza, costruiti con lavoro, serietà, responsabilità e competenza. La rivoluzione liberale in chiave conservatrice e pragmatica di Giorgia Meloni deve alimentarsi di una profonda riflessione programmatica e strategica, unita ad un’articolata elaborazione, diffusione e disseminazione di nuove linee di cultura politica maggioritarie tra i cittadini. I giganti del passato, della destra repubblicana europea e del centro destra moderato cui ispirarsi, capaci di costruire sulle macerie della politica disastrata dei loro Paesi, non mancano, da Margaret Thatcher e Charles De Gaulle, da Adenauer ai nostri De Gasperi e Einaudi.

×

Iscriviti alla newsletter