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Israele come l’Ucraina? Cosa divide la Commissione europea

Da una parte c’è la presidente von der Leyen, che mette il sostegno a Kyiv sullo stesso piano del diritto all’autodifesa per lo Stato ebraico. Dall’altra, l’Alto rappresentante Borrell che accusa il governo Netanyahu

L’autodifesa di Israele è paragonabile alla difesa dell’Ucraina? La risposta a questo interrogativo divide la Commissione europea e i partiti che la sostengono. Lo raccontano le parole della presidente Ursula von der Leyen, tedesca espressione del Partito popolare europeo, e quelle dello spagnolo Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, figura di spicco del Partito dei socialisti europei.

Quest’ultimo, uno dei più convinti sostenitori dell’importanza di assicurare sostegno all’Ucraina in ogni forma per far fronte all’aggressione lanciata dalla Russia 23 mesi fa, ha preso una posizione pubblica molto netta su Israele. Interpellato oggi dalla stampa al suo arrivo al Consiglio Affari esteri sulle recenti dichiarazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu contro la creazione di uno Stato palestinese, ha spiegato che “dobbiamo discuterne e studiare quale altra soluzione hanno in mente”. Ha ricordato che il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha definito “inaccettabile” la posizione di Israele contro “una soluzione che è stata approvata dalle Nazioni Unite” e “sostenuta da tutta la comunità internazionale”. “Quale altra soluzione hanno in mente? Di costringere i palestinesi ad andarsene? Di ucciderli? Sono già 25.000 a Gaza, il 70 per cento sono donne e bambini”, ha tuonato Borrell sostenendo che le operazioni militari di Israele stanno “seminando odio per generazioni”. “Sappiamo bene cosa sia Hamas e cosa abbia fatto” il 7 ottobre, “e certamente lo respingiamo e lo condanniamo. Ma la pace e la stabilità non si possono costruire solo con strumenti militari”, ha concluso. Nei giorni scorsi lo stesso Borrell aveva accusato Israele di aver boicottato “per 30 anni” a soluzione dei due Stati arrivando a “creare Hamas e Hamas è stato finanziato dal governo israeliano” per indebolire l’Autorità nazionale palestinese.

Al contrario, von der Leyen ha più volte messo sullo stesso piano la difesa dell’Ucraina dall’aggressione russa e il diritto all’autodifesa di Israele. Nei giorni scorsi, ribadendo che i 27 devono fornire “il miglior sostegno possibile” all’Ucraina, ha affermato che l’Europa deve “ergersi nuovamente per la libertà e la democrazia nel continente”. Ciò vale anche per “la protezione degli ebrei in Europa, il diritto all’esistenza dello Stato di Israele e gli attacchi militari contro navi civili nel Mar Rosso”, ha aggiunto intervistata dal quotidiano Bild. “Noi europei dobbiamo assumerci più responsabilità per i nostri interessi e la nostra sicurezza, soltanto allora potremo continuare a vivere in libertà e sicurezza in futuro”, è il punto della presidenza della Commissione europea che la scorsa settimana ha incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog, a margine del Forum economico mondiale di Davos, in Svizzera.

Nessuno dei due è stato risparmiato dalle critiche. Il 20 ottobre oltre 800 funzionari della Commissione europea, di base a Bruxelles o in delegazioni all’estero, hanno firmato una lettera recapitata alla presidente von der Leyen dicendosi “sorpresi” e “rattristati” dalle sue “recenti azioni e posizioni infelici” a nome dell’istituzione intera. Il suo “sostegno incondizionato” a Israele e la sua “apparente indifferenza” riguardo ai “massacri di civili” a Gaza sembra “dare mano libera all’accelerazione e alla legittimità di un crimine di guerra nella Striscia”. Pochi giorni dopo Borrell è stato criticato dai diplomatici di alcuni Paesi europei per avere dichiarato pubblicamente che “gli Stati membri hanno appoggiato l’idea di una pausa umanitaria a Gaza” senza però avere il consenso di tutti e 27 gli Stati membri.

La campagna elettorale per la elezioni europee di giugno non è ancora iniziata ufficialmente. Ma i primi distinguo tra i partiti, e anche i Paesi, iniziano a emergere. Lo fanno sulla politica estera, su cui tradizionalmente i 27 raramente riescono a trovare una linea strategica condivisa.

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