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Perché oggi rimpiangiamo i vecchi comunisti. Ferrara e Violante leggono il libro di Sallusti

La cancel culture, la sinistra sempre “più colorata e woke”, l’assenza dei partiti e la poca formazione della classe politica. Perché siamo arrivati a rimpiangere i vecchi comunisti? Lo spiegano due vecchi comunisti come Violante e Ferrara, presentando il libro del giornalista Giovanni Sallusti nella sede di Confedilizia

Come si arriva a parlare del profondo messaggio teologico di papa Ratzinger mentre si rimpiangono i vecchi comunisti? Lo ha fatto Giuliano Ferrara, con un alter ego di spessore come Luciano Violante. Perché, in fondo, anche Benedetto XVI è ascrivibile alla categoria di “coloro che rimpiangiamo”, dice l’ex direttore del Foglio. Ieri pomeriggio la sede di Confedilizia si è trasformata in un luogo di pensiero, confronto e analisi su quello che è stato e quello che è la sinistra (ma non solo), e l’occasione è stata la presentazione del libro del giornalista Giovanni Sallusti “Mi mancano i vecchi comunisti. Confessione inaudita di un libertario” (LiberiLibri).

La prima notizia è che dopo la premessa di Ferrara (“io e Luciano non siamo stati quasi mai d’accordo”), Violante a conclusione di un’analisi del giornalista sostiene: “Questa volta sono d’accordo con Giuliano”. Non c’è nostalgia, nelle parole di due personaggi che hanno mosso i primi passi della loro formazione politica e personale proprio nel Pci. C’è però la consapevolezza dell’alterità della sinistra attuale rispetto a quella da cui provengono entrambi.

“Quella di oggi – dice Ferrara – è una sinistra colorata, che combina dei gran pasticci. È in qualche modo una negazione del libertarismo. E questo nuovo paradigma viene messo profondamente in discussione dall’autore, che fotografa una parte politica che più di ogni altra cosa ha perso il senso della comunità”. La gauche caviar a trazione schleiniana fa “dell’individualismo” la sua cifra. Una circostanza che a conti fatti la porta a essere “slegata dalla realtà”. E tutto questo, assieme alla “mancanza di studio”, porta a “rimpiangere i vecchi comunisti”.

L’aneddotica si spreca. Violante, nel commentare il saggio di Sallusti, parte da una considerazione di carattere storico. Che lui stesso ha vissuto sulla sua pelle e che in qualche modo conferma la teoria critica all’individualismo intavolata da Ferrara.

“I vecchi comunisti – ha detto l’ex presidente della Camera – non erano monadi che si muovevano in ordine sparso. Erano, invece, tutti figli di un partito. Un partito che ha formato, che sapeva organizzare, che aveva un metodo”. Il Partito comunista era “pensante e ascoltante”. E oggi cosa manca? “La lotta politica”, scandisce Violante. In questo lo spartiacque è evidentemente la stagione 1992-1994.

Benché il trauma che ha portato alla dissoluzione dell’impianto politico-valoriale della Prima Repubblica non funga da giustificazione all’atteggiamento della sinistra odierna, Violante arriva a una considerazione molto pragmatica: “Ai nuovi politici nessuno ha insegnato i fondamentali”. Dalla costruzione del gruppo parlamentare, alla designazione dei nomi da inserire nelle liste elettorali.

E qui si arriva al punto focale dell’intervento dell’ex primo inquilino di Montecitorio: il rapporto tra partito e persone. Purtroppo, aggiunge, “nella sinistra di oggi si prescinde dalla storia del Paese – dice – e si prescinde da un’idea stessa di Paese”. Non che quelle stagioni, sia antecedenti che successive al ’94, fossero esenti da errori o da personalismi. Anzi. C’è un nome, che echeggia nella sala: Massimo D’Alema. “Il suo più grande pregio era essere il migliore tra noi. Il suo più grande difetto è che ne era consapevole”, commenta Violante.

Ferrara coglie l’assist e arriva al punto, ricordando gli anni – ormai remoti – della Commissione per le Riforme con Silvio Berlusconi. “D’Alema ciò che ha fatto l’ha fatto in ottica di inevitabilità – osserva il fondatore e editorialista del Foglio -. Lo spirito era quello della conciliazione in una dimensione dialettica che avesse però un orizzonte prospettico”. Anche quest’ultimo approccio alla politica, manca assai nell’odierno basso impero. Detto questo, chiude Ferrara con una battuta, “che Dio ci perdoni di averlo proposto come Presidente della Repubblica”.

Violante rilancia. “In politica bisogna scegliersi bene i propri collaboratori – dice tra il serio e il faceto -. Le capacità di D’Alema sono fuori discussione, ma la ubris ha prevalso e lui si è spinto oltre il confine”. Su quest’ultima parola ci sarebbe da aprire altre mille capitoli ma anche Violante stesso glissa arrivando – stimolato dal moderatore, Michele Silenzi, direttore editoriale di LiberiLibri e dopo i saluti del presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa – al famoso discorso sui ragazzi di Salò. Parole per le quali l’ex presidente della Camera dovette giustificarsi. Anche al cospetto dell’Anpi. Perché in fondo, ora come allora molti non erano pronti a “capire le ragioni dell’altro”. Ma soprattutto in pochi hanno inteso che quello è “un punto fondamentale della storia del Paese”.

A proposito di grande storia e piccoli eventi cronachistici, Sallusti nel raccontare la genesi del libro ascrive la sua inevitabile repulsione epidermica alla “sinistra woke” al movimento delle Sardine. Quel movimento è stato “la prova generale dello schleinismo”. È stato quello “il momento in cui più di altri ho rimpianto i vecchi comunisti”. C’è una nota biografica a fare da sfondo a questo libro. Il nonno materno di Sallusti apparteneva alla categoria dei rimpianti identificata dall’autore. “Ma se penso alle battaglie per le quali si spende oggi la sinistra – confessa l’autore – penso che mio nonno sarebbe in preda a una seria crisi d’identità”.

Il discorso di Togliatti ai compagni emiliano-romagnoli nel 1946 e l’affermazione “l’iniziativa privata è sana”, il primo capitolo del Manifesto del Partito Comunista di Marx “un elogio al capitalismo”, la sconfitta di Stefano Bonaccini alle primarie dem e più in generale “la cancel culture di cui la sinistra odierna è la principale artefice”, ingenerano nell’autore un grande senso di smarrimento. Di nostalgia, appunto: dove sono i vecchi comunisti? Fitte nubi, si addensano sul Sol dell’Avvenir.

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