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Il Pd può (ancora) pescare al centro. E il M5S? Alleanza di governo. Parla De Luca

La sconfitta in Abruzzo, per il Pd consegna comunque un risultato che lo assesta al primo posto tra i partiti del centrosinistra e al secondo posto in assoluto dopo FdI. Ora serve ritornare alle radici, pescando al centro e fra i cattolici. Con il Movimento 5 Stelle, si lavora a una coalizione progressista non solo di opposizione ma di governo. Conversazione con il deputato Piero De Luca

Dopo una vittoria, non tutti si asciugano le lacrime dalla parte degli sconfitti. Per piglio e pragmatismo, Piero De Luca, parlamentare dem di area riformista, è uno tra quelli che non si è fatto trascinare dai trionfalismi dopo la vittoria del centrosinistra in Sardegna e ora, dopo la sconfitta dell’Abruzzo, non si lascia andare a considerazione lugubri. Anche perché, ragiona con Formiche.net, “il Pd, in Abruzzo, si è affermato come prima forza del centrosinistra e secondo partito per numero di voti in assoluto”.

De Luca, per quanto il Pd non ne sia uscito a pezzi – anzi – il candidato del centrodestra Marco Marsilio si è imposto sulla coalizione di cui voi siete il principale player. 

Certo, ed è per questo che non bisogna esagerare nei festeggiamenti dopo una vittoria. E al contempo non bisogna stracciarsi le vesti a seguito di una sconfitta. Il risultato abruzzese ci dice, come Pd, che abbiamo ancora molta strada da fare per costruire la coalizione progressista alternativa alla destra. È un percorso lungo, nel quale bisogna evitare le fusioni a freddo.

Quali sono gli ingredienti imprescindibili per la coalizione progressista che ha in mente?

Già molti temi sono emersi nel corso del congresso del Pse nei giorni scorsi. L’aspirazione di una coalizione progressista deve essere quella di costruire una società più equa, in grado di governare i processi complessi come le transizioni e trovare le giuste convergenze. Il salario minimo, la difesa della sanità pubblica e le politiche di sostenibilità ambientale.

In tutto questo elenco mancano gli elementi di frizione tra voi e i vostri principali alleati: i pentastellati. 

In politica estera ci sono delle sensibilità diverse. Ma per costruire, senza distruggere, occorre lavorare su ciò che ci lega piuttosto che su ciò che ci distanzia. Anche perché dall’altra parte non è che le differenze non ci siano. Basta analizzare le differenti posture di Salvini e Meloni sull’invasione dell’Ucraina da parte della Russia per rendersene conto. Eppure, governano assieme.

Forza Italia ha raddoppiato la Lega, mentre Azione e Italia Viva crollano nei consensi in Abruzzo. Per l’elettorato centrista non c’è più posto nel Pd?

Al contrario, penso invece che di posto ce ne sia. Ed è per questo che, per come la vedo io, i dem hanno una doppia responsabilità. La prima è quella della costruzione dell’alleanza progressista, la seconda è quella di tornare a valorizzare le origini. Il partito nasce come espressione del centro-sinistra. E deve tornare a essere un riferimento per quel mondo cattolico, produttivo, moderato che forse nel tempo o ha trovato approdo politico altrove o si è rifugiato nell’astensionismo. Tra le priorità, il Pd deve avere come stella polare quella del rapporto saldissimo con gli amministratori locai che ne costituiscono il grande motore propulsivo.

Alla luce di questi ragionamenti, cosa ha funzionato in Sardegna e cosa non ha funzionato in Abruzzo?

In Sardegna avevamo una candidatura molto forte, Alessandra Todde, che è stata in grado non solo di convincere i sardi che occorreva una svolta ma anche di calcare la mano sul desiderio di rivalsa di una regione che, per cinque anni, è stata mal governata dalla destra. E questo, ha pagato. L’Abruzzo era una partita molto più ostica, tanto che mesi fa qualche sondaggio dava un divario di quasi venti punti tra la nostra e la coalizione di centrosinistra. Il Pd se non altro ha il merito di aver reso questa partita giocabile. Anche D’Amico era un buon candidato, ma il centrodestra ha commesso meno errori rispetto alla Sardegna schierando, tra le altre cose, liste con candidati molto competitivi. Come è accaduto a L’Aquila.

Come vede la sfida delle Europee e quale immagina sarà l’apporto del Pd all’interno del Pse?

L’appuntamento elettorale di primavera è fondamentale. Sarà una vera e propria scelta di campo. Bisognerà far capire agli elettori che, mai come ora, occorre un’Europa forte nel contesto internazionale. Il rischio di affermazioni di forze euroscettiche è reale. Per cui, occorre che il blocco socialista sia forte e che riesca a eleggere il più alto numero di deputati possibili. Il primo obiettivo in agenda, non c’è dubbio, deve essere quello della difesa comune europea.

Torniamo un attimo all’Italia e cerchiamo di ragionare in prospettiva. Come è cambiato il rapporto tra Pd e Movimento 5 Stelle?

Siamo in una fase nuova, di confronto e di dialogo costanti e proficui. Sui contenuti e sui programmi abbiamo spesso terreno comune e lavoriamo assieme sia a livello centrale, ma soprattutto sui territori. Elemento, quest’ultimo, fino a poco fa tutt’altro che scontato. Immagino il rapporto tra Movimento 5 Stelle e Pd come il nucleo duro del campo progressista. Ma un campo progressista di governo, non di opposizione.

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