La riforma dei cognomi dissolverà l’identità della famiglia. Tra le liberalizzazioni varate dal governo Monti c’è quella che riconosce il diritto dei figli ad aggiungere il cognome materno a quello paterno e quello delle divorziate e vedove ad aggiungere il cognome del nuovo marito ai propri figli (vedi CdM 24.2.2012).
Pertanto, i figli potranno portare cognomi diversi non solo tra loro ma rispetto ai genitori. Si dissolve così l’identità della famiglia come comunità. Il legame tra figli e con i genitori ha una radice biologica, ma si alimenta anche di simboli. E tra questi, uno dei più importanti è il cognome. Il cognome rende pubblicamente riconoscibile un rapporto altrimenti intimo e privato. Il cognome è un “bene relazionale”, un “bene comune”, che appartiene alla comunità (genitori e figli) che contraddistingue. Riconoscendo a “chiunque” (come recita il testo) il diritto di aggiungere un altro cognome a quello ereditato si riconosce al singolo il diritto di disporre di un bene che non gli è proprio perché appartiene alla comunità familiare in quanto tale. Ma quello che è più grave si consente al singolo di pregiudicare il diritto (degli altri) ad essere una famiglia perché nel momento in cui anche un solo figlio cambia il proprio cognome cessa la capacità identificativa di quest’ultimo e la famiglia si dissolve come soggetto pubblicamente riconosciuto e riconoscibile.
La riforma non vuole risolvere i ben noti problemi che possono sorgere in ordine al riconoscimento dei figli o a ragione della evoluzione dei rapporti di coppia. Non richiede, infatti, perché possa essere cambiato il cognome un motivo o una causa. Si limita ad attribuire il diritto a “chiunque”. Quella sui cognomi è, pertanto, una perfetta misura “liberale”, che privilegia il singolo e disconosce la comunità (aml).