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Perché Chávez farà lievitare il prezzo del petrolio

Hugo Chávez si è riconfermato alla presidenza della Repubblica del Venezuela. Governerà il Paese fino al 2019. Se la sua salute glielo permetterà, compirà 20 anni ininterrotti di gestione. Il risultato elettorale però non è stato rassicurante. Mentre l’opposizione raffigurata nella candidatura unica di Henrique Capriles Radonski ha conquistato quasi due milioni di voti in più rispetto alle elezioni del 2006, Chávez ha vinto per soli 100.000 voti. Secondo i dati ufficiali del Consiglio nazionale elettorale (Cne) Chávez ha ottenuto il 54.42% (7.444.082 voti), mentre Henrique Capriles Radonski il 44,97% (6.150.544 voti). Si tratta della breccia differenziale più alta nella storia politica dell’ex militare: quasi 9 punti percentuali. Con un record storico di basso astensionismo: 19%.
 
La perdita di consenso del presidente Chávez si deve molto probabilmente a una serie di problemi che, sebbene sono antichi ed ereditati dalle amministrazioni precedenti al 1999, si sono solo incancreniti nel tempo. Solo per citarne alcuni: la criminalità fuori controllo, che è costata la vita di 18.000 persone solo nel 2011; l’impunità giuridica, dove 97 casi di omicidi su 100 restano senza condanna; l’inflazione del 27%, la più alta dell’America latina, a causa dell’importazione del 80% dei consumi. Infine, il petrolio come fonte unica di produzione del Paese.
 
Tutti problemi interni che, per la maggioranza dei venezuelani che ha votato Chávez, sembrano non essere così rilevanti. La stampa internazionale, invece, si chiede cosa significherà in termini geopolitici ed energetici la nuova vittoria di Chávez. La riflessione è stata fatta dal Financial Times settimana scorsa, alla vigilia del voto, e oggi da El País. Perché la questione del prezzo del petrolio preoccupa tutti.
 
Il modello “socialista e rivoluzionario” di Chávez è sempre stato in linea con le politiche di riduzione della produzione petrolifera dei paesi membri dell’Opec. Quasi tutti arabi. Il gioco è alla speculazione: meno barili di greggio ci sono, più alto è il prezzo. Così, dal 1999 ad oggi, in Venezuela si è passati da produrre 3,5 milioni al giorno a solo 2,4. E nei prossimi sei anni, visto che tutta l’economia del Venezuela dipende dagli incassi per la vendita del petrolio, le prospettive sono solo a continuare l’aumento.
 
In più, la retorica anti-americana rischia di elevare i toni. In un anno, il presidente dell’Iran Mahmud Ahmadinejad ha visitato nove volte Caracas. Cari fratelli musulmani? Non proprio. Quello che unisce l’America latina con il mondo arabo è l’odio verso gli Stati Uniti e la firma di prosperi accordi commerciali sulla base energetica e di armamenti. E anche se sembra non c’entrare niente, il Venezuela è presente nella scena dei conflitti del Medio oriente dal momento in cui fornisce ufficialmente 47 tonnellate di carburante alla Siria, come è stato confermato a luglio del 2012 dal ministro dell’Energia Rafael Ramírez.
 
Ieri pomeriggio, mentre votava, Chávez era accompagnato dall’attore Danny Gloover e dal premio Nobel per la pace Rigoberta Menchú, oltre ad altri personaggi mediatici della sinistra internazionale. Il presidente venezuelano si è detto disponibile al dialogo con le diverse forze politiche, anche quelle dell’opposizione, qualunque fosse la vittoria. Ma il dubbio si possa sul vero imbroglio elettorale, come ha detto Tomás Ramírez, giornalista venezuelano de El Universal: “La frode è nella rielezione indefinita. Con tutte le risorse petrolifere dello Stato, si sprecano i soldi in populismo e si comprano voti”. Così ci sarà Chávez per i prossimi sei anni e forse anche di più.


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