Altro che finanza e Banca centrale. Le elezioni si vincono su rapporti internazionali, questioni energetiche e risorse nazionali. E’ questo il portato delle elezioni politiche giapponesi, che hanno decretato il ritorno al potere del Partito liberaldemocratico, secondo Giulia Pompili, giornalista del Foglio diretto da Giuliano Ferrara e gran conoscitrice di questioni asiatiche. Non a caso, venerdì scorso Pompili ha vinto il premio Umberto Agnelli per aver contribuito con i suoi articoli sul Foglio a diffondere la conoscenza del Giappone in Italia.
Pompili, è vero che la crisi e il nucleare hanno provocato la sconfitta del partito al governo, come si dice in Italia? O ci sono altri motivi?
“Le analisi sui giornali asiatici dopo la sconfitta del Partito democratico parlano chiaro: quello dei giapponesi non è stato un voto di fiducia nei confronti della coalizione di centrodestra, ma piuttosto il desiderio di mandare a casa i dirigenti del Partito democratico”. Lo ha ammesso lo stesso Shinzo Abe nel primo discorso dopo la vittoria: “La sinistra cinque anni fa – dice Pompili – aveva ritrovato la maggioranza dopo essere stata all’opposizione sin dal Dopoguerra, e nel 2009 si era formato il primo governo di centrosinistra guidato da Yukio Hatoyama. Ma da lui in poi la strada del governo è stata solo in salita: la peggiore crisi economica dopo il “decennio perduto” iniziato con il crollo del mercato azionario nel gennaio del 1990, e poi il disastro dell’11 marzo 2011, i costi della ricostruzione, la crisi del nucleare”.
A proposito, come mai il partito anti nucleare ha ottenuto pochi voti?
“Il movimento antinuclearista ha avuto molta presa sull’opinione pubblica. Il dramma di Fukushima ha sicuramente influenzato le politiche energetiche e attualmente sono solo due i reattori nucleari in funzione in tutto il Giappone. E c’è anche da dire che durante la campagna elettorale in molti, sia a destra che a sinistra, hanno sfruttato la carta delle energie alternative e tra gli elettori c’era una parte di giovani che costituivano i movimenti anti nuclearisti – pochi, giovani, perché in Giappone è molto difficile trovare un ragazzo interessato e impegnato seriamente nella politica. La maggior parte degli elettori, invece, ha fatto un ragionamento del tutto pragmatico: se dovesse servire alla nazione e all’economia, dovremmo metterci nelle condizioni di poter riattivare altre centrali nucleari. Esattamente la linea politica di Abe”.
Su quali slogan e parole d’ordine si è incentrata la vittoria della destra?
“Quella della destra è stata una campagna elettorale con poche dichiarazioni dal punto di vista economico. Abe si è tenuto alla larga da promesse e dal dare un programma elettorale economico ufficiale. Si sa che chiederà alla Banca centrale di porre fine alla deflazione, un cancro che rincorre il Giappone da almeno trent’anni, concedendo un’inflazione al due per cento, e compilando un budget straordinario ricorrendo allo stimolo fiscale. E la Borsa di Tokyo oggi lo ha premiato chiudendo in rialzo dello 0,94 per cento. Ma se da una parte l’ultima mossa di Yoshihiko Noda è stata quella del raddoppio dell’Iva entro il 2014 – una manovra per la quale ha dovuto promettere all’opposizione le elezioni anticipate – d’altra parte l’economia reale giapponese non ha risentito così tanto della crisi. Lo spiega, molto meglio di me, il giornalista economico Eamonn Fingleton nel suo blog www.fingleton.net l’aspettativa di vita dei giapponesi che cresce, l’agenda digitale quasi completa, disoccupazione ai minimi). La gente, quindi, non voleva sentir parlare di alta finanza o di Banca centrale, voleva sentire parlare dei rapporti con la Cina, delle isole Senkaku, degli americani alla base di Okinawa. E Abe ha fatto esattamente questo”.
E’ vero che ha usato toni anti cinesi?
“Durante il suo primo anno da premier, dal 2006 al 2007, Abe fu uno dei sostenitori dei rapporti con la Cina. Nel suo primo discorso da premier in pectore pure, ha detto che ha intenzione di rinsaldare i rapporti con i vicini di Pechino. Certo è che Il Partito Liberal democratico dovrà orientarsi tra una politica nazionalista e la necessità di un rapporto economico inevitabile con la Cina: il crollo delle esportazioni nell’industria automobilistica giapponese, a ottobre, durante le proteste anti-nipponiche in Cina, ne sono la conferma”.