Nelle discussioni che oggi infiammano il clima preelettorale, si ripropone l’attualità di un piccolo classico sui fondamenti della differenza tra destra e sinistra. Il saggio di Norberto Bobbio Destra e sinistra – Ragioni e significati di una distinzione politica, ripubblicato da Donzelli nel 2010, invita a rileggere la storia dell’ultimo ventennio e offre spunti di riflessione preziosi. Il filosofo pubblicò all’età di ottantacinque anni la prima edizione del «libretto» destinato a restare il suo lavoro più discusso e famoso. Uscito in libreria il 26 febbraio del 1994, fu un successo editoriale senza precedenti: diecimila copie vendute in tre giorni, centomila in due mesi, più di trecentomila in quel primo fatidico anno della storia italiana. E poi, traduzioni in 27 lingue.
Il muro era caduto da cinque anni, l’Italia era immersa nella prima stagione di Tangentopoli e assistevamo attoniti alla “discesa in campo” del cavaliere che, a fine marzo, conseguì la prima vittoria elettorale. A maggio dello stesso anno Bobbio, stupito della fortuna del libricino, in una lettera a Carmine Donzelli notava: «Andiamo avanti con l’Italia berlusconizzata e con questo governo, per chiosare il quale ho scritto: Sì, ci ho riflettuto: /avvenga quel che avvenga. /La gente l’ha voluto, /ed ora se lo tenga». Parole sulle quali ci tocca interrogarci ancora, a otto anni dalla scomparsa del filosofo avvenuta nel 2004.
La ricerca sulla dicotomia tra destra e sinistra si svolge tra logica e passione, perché «non c’è ideale che non sia acceso da una grande passione» e «i grandi ideali resistono al tempo e al mutar delle circostanze e sono l’uno all’altro, ad onta dei buoni uffici della ragione conciliatrice, irriducibili». Quando cadde il fascismo, ricorda il filosofo, la destra parve essere quasi scomparsa; con la dissoluzione dei regimi comunisti, la sinistra scende e sale la destra. Ma i termini della diade hanno bisogno uno dell’altro per esistere.
La questione è se la distinzione storica tra destra e sinistra, metafora che dalla Rivoluzione francese ha diviso l’universo politico in due parti opposte, abbia ancora ragione di essere utilizzata, nonostante le argomentazioni tese a negarla. E nonostante la confusione della sinistra con la destra e della destra con la sinistra, verificatasi a più riprese nel Novecento, come quando agli inizi del secolo intellettuali socialisti si fecero teorici del fascismo. O quando – ricordiamo – nel ’68 furono adottati a sinistra “maestri di pensiero” di compromissione nazista. O quando, fallito quel movimento, molti intellettuali sessantottini passarono alle file della destra. O da quando politici di destra hanno preso ad appropriarsi di posizioni proprie della sinistra: fenomeno che sarebbe indicativo del fatto che non esistono più differenze che meritino di essere contrassegnate con nomi diversi.
Eguaglianza e libertà: i due termini hanno un senso emotivamente fortissimo, ma un significato descrittivo generico, e un contenuto spesso antitetico. La tesi centrale di Bobbio è che sinistra e destra restano tuttora irriducibili l’una all’altra alla luce dell’opposizione di eguaglianza-diseguaglianza, mentre la coppia oppositiva libertà-autoritarismo serve piuttosto a distinguere i moderati dagli estremisti. Fascismo e bolscevismo, accomunati da concezioni ugualmente «profetiche» della storia, condividono infatti il disprezzo antidemocratico e l’uso della violenza, teorizzata come positiva. La teoria degli “opposti estremismi”, che prima della caduta del comunismo molti trovavano inaccettabile, è convalidata dalla professione autoritaria di quelle «dottrine». Una dialettica democratica, dunque non violenta, tra destra e sinistra non può che svolgersi tra liberalismo e socialismo. E Bobbio non esita a scrivere di essersi sempre considerato un uomo di sinistra.
Ma che cosa si intende per eguaglianza? L’eguaglianza radicale di tutti in tutto, tipica degli utopisti, è una formula rivelatasi funesta. Un contenitore vuoto, come del resto l’idea della libertà assoluta. Con la differenza che l’eguaglianza è sempre in relazione ad un altro termine. «Posso dire: io sono libero, ma non: io sono eguale» è la semplice ma fondamentale osservazione di Bobbio. L’idea dell’eguaglianza implica sempre il rapporto con gli altri esseri umani. E tuttavia il metodo di pensiero razionale, che nello studio della realtà umana si ferma alla coscienza e al comportamento mostra qui, ancora una volta, il suo limite. Nell’impossibilità di comporre eguaglianza e diversità degli esseri umani secondo un criterio universale, Bobbio deve accontentarsi di definire l’eguaglianza come la «tendenza specifica» della sinistra.
L’indagine offre folgoranti premonizioni, come quando Bobbio pone ad una sinistra operaista la questione dell’immigrazione. Nel «pianeta dei naufraghi» il problema dell’eguaglianza, egli avverte, rimane irrisolto in tutta la sua gravità. L’affascinante ideale è stato, conclude, la «stella polare» della sinistra che, liberatasi dal comunismo, ha appena cominciato il suo cammino. L’umanità, affermava nel 1998, non è giunta affatto alla “fine della storia”. La più grande rivoluzione del nostro tempo era infatti, per Bobbio, il processo di emancipazione delle donne: «Mai come nella nostra epoca sono state messe in discussione le tre fonti principali di disuguaglianza: la classe, la razza, il sesso. La graduale parificazione delle donne agli uomini, prima nella piccola società familiare, poi nella più grande società civile e politica, è uno dei segni più certi dell’inarrestabile cammino del genere umano verso l’eguaglianza».
Noemi Ghetti