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Pregi e difetti dell’accordo per evitare il baratro fiscale in Usa

Segnalo un piccolo dettaglio sul cosiddetto “accordo” tra Casa Bianca (e Democratici) e Repubblicani per “evitare” l’ormai celebre Fiscal cliff , che molti giornalisti italiani avevano già adottato come surrogato delle profezie Maya.

Per cominciare, si tratta di un accordicchio davvero misero e di composizione squilibrata, che peraltro spinge in avanti di due mesi la gestione del cosiddetto sequester, cioè dei tagli “automatici” alla spesa di Difesa ed altre voci discretionary (quindi non gli entitlements, cioè Medicare, Medicaid e Social Security).

Quanto alla composizione, il Congressional Budget Office (CBO) ha calcolato che le misure votate oggi determineranno, lungo l’arco temporale convenzionale di un decennio, aumenti di entrate per 620 miliardi di dollari e tagli di spesa per 15 (quindici) miliardi di dollari, con un rapporto quindi di 41:1 tra le prime e le seconde.

Sia chiaro, la pressione fiscale federale è ai minimi da sessant’anni, ed è oggi pari a circa il 15 per cento del Pil, contro una media storica di circa il 18 per cento, quindi non c’è scandalo in una sua eventuale risalita, concetto che peraltro su questi pixel leggete da sempre. I problemi sono altri. Ad esempio, che tra gli aumenti di entrate decisi oggi c’è anche la fine dello sconto fiscale sulla payroll tax, cioè sui contributi sociali prelevati dalle buste paga. Questa misura determinerà un taglio di reddito disponibile anche per i lavoratori di reddito basso, che sono notoriamente quelli che hanno maggiore propensione alla spesa (o, detto in altri termini, minori capacità di risparmio). Misure come questa confermano peraltro quello che chi sa far di conto sa da sempre: per fare gettito, ad ogni latitudine, non basta colpire “i ricchi”, perché i numeri si fanno anche e soprattutto sui “poveri”, come si direbbe da noi, o sulla “classe media”, come si direbbe negli Usa. Prima triste lezione del nuovo anno. E già alcune case d’investimento hanno limato la stima della crescita americana per il 2013 a solo l’1 per cento.

Vi è poi l’aumento di pressione fiscale sui soggetti ad alto reddito. Le aliquote salgono per i single oltre i 400.000 dollari e per le coppie oltre i 450.000 dollari di imponibile, ed una manovra parallela ed aggiuntiva determina anche il progressivo venir meno di alcune forme di deducibilità già per chi guadagna almeno 250.000 dollari. Per tutti gli altri, i famosi tagli di imposta di Bush del 2001 e 2003, poi prorogati nel 2010 da Obama per un biennio, sono confermati.

Ribadiamolo: l’aumento di pressione fiscale, in una manovra correttiva pluriennale come quella a cui gli americani intendono mettere mano, ci può e ci deve stare. Quello che assai meno ci sta sono commenti di questo tipo, in cui si finisce col magnificare (al solito) la passata azione di GWB, a cui la storia starebbe invariabilmente dando ragione per il solo fatto che “l’86 per cento dei suoi tagli è diventato permanente”. Le “vittorie” simboliche serviranno pure, soprattutto quando si deve dimostrare una tesi preconfezionata, ma entusiasmarsi per quello che appare ormai poco più che un simbolo del fanatismo repubblicano tralasciando il fatto che la manovra di oggi è basata per il 97,6 per cento su maggiori entrate è piuttosto buffo. O forse è solo la spia di quello che accade alla capacità “analitica” quando il tifo incontra la realtà.

Sintesi di un’analisi che si può leggere qui.



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