Così come il legislatore ha configurato il nuovo redditometro, il modello, più che potenziato, è stato trasformato in un vero e proprio studio di settore per famiglie, spostando così su oltre 40 milioni di contribuenti l’efficacia accertativa, ma anche i pericolosi difetti e gli inevitabili limiti di strumenti con cui sino ad oggi si sono dovuti confrontare “solo” i 5 milioni di partite IVA.
Poco per volta, questo concetto è stato digerito e compreso; tuttavia, nell’evidenziare questo, nemmeno noi eravamo riusciti a cogliere nella sua interezza l’esatta dimensione del processo di trasformazione posto in essere.
Appurato infatti che, con il nuovo redditometro, la determinazione del reddito presunto sarebbe avvenuta non soltanto sulla base delle spese, degli investimenti risultanti dall’Anagrafe tributaria e sulla base dell’ulteriore quantificazione presuntiva delle spese di gestione dei beni posseduti quali risultanti sempre dall’Anagrafe tributaria, ma anche sulla base di valorizzazioni ulteriori fondate su coefficienti di tipo statistico (come nel caso degli studi di settore, appunto), si pensava che per arrivare al reddito presunto si sarebbe comunque partiti dalle spese, dagli investimenti e dai beni “effettivi”, per poi al più applicare sulle relative risultanze “oggettive” dei moltiplicatori statistici in ragione della tipologia del nucleo familiare di appartenenza e del territorio di residenza del contribuente.
Già questo, come si diceva, sarebbe bastato a trasformare parzialmente il redditometro in uno studio di settore per famiglie.
Con l’approvazione del Decreto, invece, risulta ormai chiaro come questa trasformazione sia totale.
Anzi, il nuovo redditometro diventa ancor più “statistico” (e sganciato dalle risultanze “oggettive” riconducibili al contribuente cui si applica) degli studi di settore stessi, perché può portare anche a quantificazioni del reddito presunto completamente basate solo sulle valorizzazioni statistiche derivanti, per le diverse voci del paniere di spese, dai dati di spesa media di cui all’indagine sui consumi delle famiglie compresa nel Programma statistico nazionale (o anche sulla base di altri non meglio precisati – e, per questo, allo stato francamente inquietanti – “analisi e studi socioeconomici, anche di settore”.
Questo vuol dire, in altre parole, che il redditometro, così configurato, diviene applicabile anche a prescindere dalle risultanze dell’Anagrafe tributaria e comunque, ove le risultanze dell’Anagrafe tributaria generino un reddito presunto “analitico” inferiore a quello “puramente statistico”, quello che può essere utilizzato “contro” il contribuente rimane quest’ultimo.
Da questa impostazione derivano dei pro (per il Fisco) e dei contro (per i contribuenti).
I pro sono che il redditometro diviene utilizzabile a tappeto nei confronti di tutti, ivi compresi coloro i quali, per le più svariate ragioni, lecite e meno lecite, sfuggono completamente all’Anagrafe tributaria.
I contro sono che potrebbero essere veramente molto numerosi i casi in cui il reddito presunto determinato integralmente o quasi su base statistica “ci azzecchi” poco o niente con quello di cui il contribuente è effettivamente titolare, mettendolo non poco in difficoltà sul fronte della prova contraria.
Perché, se è vero che rimane la prova di aver conseguito redditi non imponibili o aver ricevuto donazioni o simili, in casi di questo tipo diventa dannatamente arduo provare di aver sostenuto meno spese di quelle “statistiche”.
Ciò detto, siamo sicuri che anche il nuovo “redditometro-studio di settore per famiglie”, così come il vecchio, abbia natura di presunzione legale relativa, tale da consentire all’Agenzia delle Entrate di emettere avvisi di accertamento basati esclusivamente sulle sue risultanze (salvo fruttuoso contradditorio preventivo) e tale quindi da invertire sul contribuente l’onere della prova?
Secondo noi, per varie ragioni di diritto, è tutt’altro che pacifico (si veda “In Gazzetta il decreto sul redditometro” di oggi).
E, se invece dovesse prevalere la tesi interpretativa volta ad affermare la natura dipresunzione legale relativa di questo strumento, viene da sé che si renderebbe necessaria quanto prima una modifica normativa.
Perché è vero che l’Agenzia delle Entrate ha già rassicurato più volte in ordine alla “prudenza” con cui intende avvalersi di questo strumento, ma, in uno Stato di diritto, in cui il contribuente è cittadino e non suddito, quello che contano realmente sono le norme, non le rassicurazioni del sovrano.
twitter @enrico_zanetti
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