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Come (non) intaccare lo stock del debito

Quale che sarà il governo che emergerà dalle elezioni, dovrà fare i conti con il rapporto tra stock di debito pubblico e Pil. Rispetto a dicembre 2012, nella primavera 2013 sarà certamente aumentato sia a ragione del crescente fardello degli interessi (nonostante l’abbassamento dello spread nelle ultime settimane) sia a causa della contrazione del Prodotto interno lordo sia, infine, perché il programma di dismissioni del patrimonio pubblico sta andando avanti a passi di lumaca (e potrebbe anche fare marcia indietro se si cedesse alla tentazione di fondere quel-che-resta di Alitalia con le Ferrovie dello Stato o ad altri marchingegni analoghi). Sono indebitati, inoltre, anche enti ed aziende (più o meno a partecipazione statale), che non rientrano tecnicamente nel perimetro della pubblica amministrazione.

Cosa suggerire? Non sono mancate proposte. In autunno il Cnel ha organizzato una giornata di studio per metterle a confronto. Un programma organico è stato presentato dalla fondazioni di studi e ricerche Astrid. Altre idee sono venute da centri studi, nonché da economisti e giuristi. Chiunque andrà alla “poltronissima” di Via Venti Settembre, oltre a leggere (e meditare) questi lavori, farà bene a studiare il saggio di Charles W. Calomiris (Columbia University), Daniela Klingebiel (Banca mondiale) e Luc Laeven (Fondo monetario) “Seven Way sto Deal with a Financial Crisis- Country Experience and Policy Reccomentaions” apparso nel Vol. 24, No 4, 2012  pp. 8-22 del Journal of Applied Corporate Finance”. 

Il lavoro non contiene ricette nuovissime ma al pari dei Sette Pilastri della Saggezza a cui faceva riferimento Lawrence d’Arabia presenta in modo organico una tassonomia delle strategie di ristrutturazione finanziaria impiegate nel passato prossimo da chi fa politica economica in varie parte del mondo.

L’obiettivo – si precisa – deve essere quello di mantenere, al costo più basso, un grado adeguato di fiducia reciproca tra creditori e debitori (ciò, aggiungiamo noi, che non è avvenuto in Grecia). I costi – occorre precisare per chi si interessa di finanza ma non di economia reale – non sono soltanto quelli che emergono dai libri contabili e quelli relativi agli aiuti finanziari, ma anche quelli indiretti (ben più pensati) di una cattiva allocazione del capitale e degli incentivi (alla ristrutturazione). Tale cattiva allocazione tende a pesare a lungo sull’economia ed a riproporre i problemi che si intendeva superare.

Di norma i governi utilizzano due categorie di strumenti: a) quelli basati su strumenti decentrati di mercato (che a loro volta prevedono una combinazione di riduzioni del debito operando o sullo stock o sulle scadenze, e di iniezioni di capitale); b) strategie guidate dalla mano pubblica che prevedono il trasferimento di parte del debito ad entità ad hoc (è ciò che si è fatto, in Italia, con Alitalia: i risultati sono sotto gli occhi di tutti).

I meccanismi di mercato sono di solito quelli che hanno un costo più basso per la collettività specialmente se, con un coordinamento adeguato, riescono ad indirizzare eventuali interventi pubblici soltanto verso i comparti che con un minimo di supporto riescono a viaggiare con le proprie gambe. Tanto per i meccanismi di mercato che per quelli “non di mercato”, il lavoro fornisce percorsi puntuali. Tuttavia, i meccanismi di mercato implicano un sistema efficiente di giustizia civile e di pubblica amministrazione. Ciò è necessario ma non così critico – afferma lo studio – anche nei programmi più marcatamente “statalisti”.

Ciò solleva un interrogativo più profondo? Il prossimo governo potrà risolvere il nodo del debito, o dei debiti, senza affrontare, in parallelo, quelli della giustizia e della pubblica amministrazione? Il saggio non lo dice ma è la conclusione che se ne trae.


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