Le dimensioni e la potenza del Pakistan non consentono di classificare come semplici tensioni interne le vicende che stanno avendo luogo a Islamabad. Il Paese è sul margine di una crisi istituzionale, aggravate da una protesta sociale ormai dirompente e dalla tenaglia di conflitti irrisolti con l’India.
Con una decisione inaspettata la Corte Suprema ha ordinato l’arresto del primo ministro, Raja Pervez Ashraf, accusato di corruzione per autorizzazioni connesse al suo incarico di ministro di Acqua e Energia nel 2010.
La decisione non condurrà automaticamente alla rimozione, ma ha comunque effetti dirompenti sulla fragile scena politica interna. Ashraf aveva sostituito Yousu Raza Gilani, anch’egli rimosso per motivi giudiziari.
A pochi mesi dalle prossime elezioni legislative, Ashraf è il candidato premier del partito al governo, il PPP, Pakistan People’s Party. La notizia ha innescato reazioni contrastanti, Il capo della Commissione Anticorruzione ha rifiutato di eseguire l’arresto, asserendo che le indagini hanno bisogno di maggior tempo. Si è dunque innescata una crisi di poteri dall’esito imprevedibile. Contemporaneamente e nella stessa zona centrale di Islamabad, la notizia è stata invece accolta con giubilo da decine di migliaia di dimostranti.
Erano tutti seguaci di Tahir-ul Qadri, un religioso pakistano con passaporto canadese. Atterrato da Toronto, si è messo alla testa del sentimento di protesta che innerva molti settori della società. Ha fatto della battaglia della legalità il suo marchio di riconoscimento, riuscendo ad attrarre moltissimi seguaci. La folla si è accampata davanti al Parlamento e, nonostante gli scontri con la polizia, ha resistito ed è riuscita ad imporre al Governo la trattativa per una nuova e più severa legge contro la corruzione.
L’India guarda con apprensione l’evoluzione nel paese confinante e rivale. Delhi sa bene che non può trarre vantaggio dalla debacle di uno Stato con il quale ha ancora bellicosi rapporti di confine. Proprio nella contesa linea di confine del Kashmir sono ripresi gli scontri di frontiera che hanno causato la morte di soldati da entrambe le parti.
Il cessate il fuoco accettato bilateralmente nel 2003 è ora un ricordo. Esso aveva condotto ad un allentamento della tensione, consentendo alcuni scambi commerciali e minori controlli alla zona di frontiera. Ora entrambe le parti si scambiano accuse e promettono una maggiore severità nelle relazioni. La tensione sale nei campi di battaglia con l’altitudine più alta al mondo. L’auspicio internazionale e’ che la recrudescenza delle azioni militari non sia la soluzione per occultare problemi interni che nel sub-continente stentano ad essere risolti.
Romeo Orlandi
Presidente Comitato Scientifico Osservatorio Asia