Non ci si focalizzi sulla spesa immediata. Il ritorno economico e tecnologico che deriverebbe dall’acquisto del cacciabombardiere F35 di Lockheed Martin per l’Italia sarebbe significativo. E l’acquisto di un gioiello indispensabile per le Forze Armate potrebbe essere spalmato nel tempo. Il generale Leonardo Tricarico, ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare e socio fondatore della Fondazione Icsa, in una conversazione con Formiche.net taglia corto sulla polemica relativa all’acquisto del velivolo infiammata dalle ultime dichiarazioni del segretario del Pd Pier Luigi Bersani.
“Credo che la politica di difesa e sicurezza sia materia che si sottrae alla battaglia elettorale, e la rinuncia all’F35 in particolare muterebbe significativamente il modello di difesa italiano, snaturando la Marina e l’Aeronautica. C’è troppa sconsideratezza, superficialità e inadeguatezza su questi discorsi che non si conoscono neanche. Di Pietro e Vendola in questo senso sono degli irresponsabili”, spiega.
Ma ha senso cominciare a ridurre le spese partendo dall’F35? “Ci sono già due provvedimenti che riguardano la spending review al ministero della Difesa. Senza il bisogno di frenare su un aspetto necessario come quello dell’F35 – sottolinea – ci sono tante spese inutili da tagliare per ottenere risparmi notevolissimi, a cominciare dall’impiego anomalo ed improprio delle Forze Armate”.
Il ritorno economico, e non solo, per l’industria italiana
Ma ecco i punti fondamentali della questione su cui non si fa abbastanza luce: “Non viene detto che le imprese Usa produttrici di motori e cellule hanno garantito un ritorno per l’industria italiana di 13,5 miliardi di dollari per l’intera durata del programma per i contratti di fornitura dell’F35. La forbice tra spese ed entrate sarebbe quindi minima”, evidenzia Tricarico.
“Sono già 35 le imprese italiane, piccole medie e grandi, che hanno sottoscritto contratti con Lockheed Martin per l’F35 (come l’Oma di Foligno). Ma il novero delle ditte interessate dal programma più in generale potrebbe arrivare anche a 70. Si spieghi loro perché si intende uscire dal programma F35. Se si vuole parlare di mondo del lavoro, bisogna affrontare anche questo tema. E non si tratta solo di imprese piemontesi ed umbre, ma anche di quelle campane”, prosegue.
L’F35 è quello che serve all’Aeronautica e alla Marina italiana: “La scelta è stata fatta secondo criteri di esigenza operativa, e l’industria nazionale deve fare quello di cui le Forze Armate hanno bisogno. Inoltre, con il tempo, ci sarà la migrazione di know-how tecnologico dagli Stati Uniti verso l’Italia”.
La tempistica
Non dobbiamo acquistare necessariamente tutti i velivoli ora, “ma è possibile procedere per lotti. Si può lavorare su un piano che permetta di spalmare le esigenze delle Forze Armate in un arco di tempo compatibile con il budget della Difesa”.
Le caratteristiche che rendono indispensabile l’F35 rispetto al Typhoon
Il Typhoon, prodotto dal consorzio europeo Eurofighter di cui Finmeccanica è partner attraverso Alenia Aermacchi, e l’F35 “sono due aerei dalle caratteristiche diverse, con due ruoli diversi. Non li si può concepire come interscambiabili per questioni tecniche. E comprare più Typhoon ora non avrebbe vantaggi significativi per le Forze Armate neanche in relazione al loro prezzo, considerando che un Typhoon presenta costi significativamente superiori rispetto all’F35. E nel programma di Lockheed Martin, il nostro ruolo va ben oltre quello di subfornitori, essendoci una partecipazione vera e propria al progetto”, dichiara il Generale.
I costi e i problemi tecnici del cacciabombardiere
I problemi tecnici emersi? “Sono fisiologici ogni volta che c’è un programma di sviluppo di un sistema ad alta tecnologia. Gli inconvenienti tecnici emergono sistematicamente strada facendo con una simile complessità tecnologica”. E i costi, che aumentano sempre di più rispetto al previsto? “Non conosco nessun progetto per cui la previsione inziale dei costi sia stata rispettata. Non c’è da sorprendersi dunque che aumentino nel corso del tempo”.
Un passo indietro di un Paese partner da un programma di acquisto di armamenti militari “non sarebbe né il primo né l’ultimo. Non sarebbe assolutamente una situazione scandalosa, tantomeno comporterebbe un deterioramento nei rapporti tra Italia e Stati Uniti. Tuttavia, in un caso del genere, chi si fa male è chi se ne va”, conclude l’ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica.