Discorso del Primo Ministro David Cameron del 23 gennaio 2013
Questa mattina voglio parlare del futuro dell’Europa. Ma, prima di farlo, vorrei ricordare il passato. Settant’anni fa, l’Europa era lacerata per la seconda volta nel corso della stessa generazione da un catastrofico conflitto. Una guerra che ha visto le strade delle città europee cosparse di macerie, i cieli di Londra illuminati dalle fiamme notte dopo notte, e milioni di morti in tutto il mondo nella battaglia per la pace e la libertà.
Così come ricordiamo il loro sacrificio, allo stesso modo dovremmo ricordare com’è avvenuto in Europa il passaggio dalla guerra a un lungo periodo di pace. Non è avvenuto con la rapidità con cui cambia il tempo, bensì attraverso un lavoro perseverante nel corso di varie generazioni. Un impegno di amicizia e il proposito di non ricadere mai in quel passato così buio; un impegno incarnato dal Trattato dell’Eliseo firmato esattamente 50 anni fa.
Dopo la caduta del muro di Berlino, ho visitato la città e non potrò mai dimenticarla.
I posti di blocco abbandonati. L’entusiasmo per il futuro. La consapevolezza che si stava creando un grande continente. La guarigione da quelle ferite della nostra storia è il fondamento dell’Unione europea.
Quelli che Churchill descriveva come i due giganti predatori, la guerra e la tirannia, sono stati quasi completamente messi al bando dal nostro continente. Oggi, centinaia di milioni di persone vivono in libertà, dal Baltico all’Adriatico, dalle coste atlantiche delle isole britanniche all’Egeo. E anche se non dobbiamo mai dare tutto questo per scontato, bisogna dire che il primo obiettivo dell’Unione europea, quello di assicurare la pace, è stato raggiunto. Dovremmo quindi rendere omaggio a tutti coloro che nell’UE, e anche nella NATO, l’hanno reso possibile.
Oggi, tuttavia, lo scopo principale dell’Unione europea è diverso: non è ottenere la pace, ma garantire la prosperità. Le sfide non provengono dall’interno del nostro continente ma dall’esterno: dalle economie emergenti nella parte orientale e meridionale del mondo. Ovviamente, un’economia mondiale in crescita va a vantaggio di tutti noi, ma oggi è in atto, senza dubbio, una nuova competizione a livello globale tra le nazioni. Una competizione per la ricchezza e per le professioni del futuro. La mappa dell’influenza globale sta cambiando davanti ai nostri occhi. E gli imprenditori olandesi, i lavoratori tedeschi, le famiglie britanniche percepiscono già questi cambiamenti. Vorrei quindi parlarvi oggi con franchezza e urgenza dell’Unione europea e di come deve cambiare, sia per garantire la prosperità, sia per continuare ad avere il sostegno dei suoi cittadini. Ma vorrei innanzitutto descrivervi lo spirito con cui mi pongo verso queste questioni. So che il Regno Unito viene visto a volte come un membro polemico e piuttosto risoluto della famiglia delle nazioni europee.
Ed è vero che la nostra geografia ha finito per condizionare la nostra psicologia. Abbiamo il carattere di una nazione isolana: indipendente, schietto, che difende la propria sovranità con ardore. Non possiamo cambiare questa nostra sensibilità britannica, così come non possiamo prosciugare il canale della Manica. E, proprio a causa di questa sensibilità, ci poniamo di fronte all’Unione europea con uno spirito più pratico che emotivo. Per noi, l’Unione europea è uno strumento per raggiungere un fine – ovvero la prosperità, la stabilità, il caposaldo della libertà e della democrazia sia in Europa che oltre le sue sponde – e non un fine in sé. Chiediamo con insistenza: come? Perché? A che scopo? Ma quest’atteggiamento non ci rende in qualche modo non-europei.
Il fatto è che la nostra non è solo la storia di un’isola, ma è anche una storia continentale. Nonostante tutte le nostre relazioni con il resto del mondo, che ci rendono giustamente orgogliosi, siamo sempre stati una potenza europea, e lo saremo sempre. Dalle legioni di Cesare alle guerre napoleoniche, dalla Riforma all’illuminismo e alla rivoluzione industriale, per arrivare alla sconfitta del nazismo, abbiamo contribuito a scrivere la storia europea e l’Europa ha contribuito a scrivere la nostra. Negli anni, il Regno Unito ha dato all’Europa un suo contributo, unico. Abbiamo offerto rifugio a chi fuggiva dalla tirannia e dalle persecuzioni. E nel periodo più buio della storia d’Europa, abbiamo aiutato a tenere accesa la fiamma della libertà. In tutto il continente, nei cimiteri dove regna il silenzio, giacciono centinaia di migliaia di soldati britannici che hanno dato le loro vite per la libertà dell’Europa.
Nei decenni più recenti abbiamo fatto la nostra parte negli sforzi per demolire la cortina di ferro e sostenere l’accesso all’UE di quei paesi che hanno perso così tanti anni a causa del Comunismo. E in questa storia è racchiuso il fulcro del Regno Unito, il nostro carattere nazionale, il nostro atteggiamento nei confronti dell’Europa. Il Regno Unito non è caratterizzato solo dalla sua indipendenza, ma soprattutto, dalla sua apertura. Siamo sempre stati un paese che va incontro agli altri. Che si rivolge al mondo. Che guida la battaglia a favore del commercio globale e contro il protezionismo. Questo è il Regno Unito di oggi, com’è sempre stato: indubbiamente indipendente, ma anche aperto. Mi auguro che mai alzeremo il ponte levatoio per ritirarci dal mondo.
Non sono un isolazionista britannico.
Non voglio solo un accordo migliore per il Regno Unito: voglio un accordo migliore anche per l’Europa. Parlo quindi in qualità di Primo Ministro britannico con una visione positiva del futuro dell’Unione europea. Un futuro in cui il Regno Unito vuole, e dovrebbe voler svolgere un ruolo attivo e impegnato. Qualcuno potrebbe pertanto chiedersi: perché porre delle domande radicali sul futuro dell’Europa quando l’Europa si trova già nel pieno di una profonda crisi? Perché sollevare delle questioni legate al ruolo del Regno Unito quando il sostegno all’UE nel Regno Unito è già così ridotto? Ci sono sempre delle voci che suggeriscono di non porre le domande difficili.
Ma è fondamentale per l’Europa, e per il Regno Unito, porre queste domande perché oggi ci troviamo di fronte a tre grandi sfide.
Innanzitutto, i problemi dell’eurozona stanno portando a dei cambiamenti radicali in Europa. In secondo luogo, la competitività europea è in crisi, mentre altre nazioni in tutto il mondo crescono. Terzo, esiste un divario tra l’UE e i suoi cittadini che si è acuito in modo drammatico negli ultimi anni. Questo divario è la rappresentazione di una mancanza di responsabilità democratica e di consenso e viene indubbiamente percepito in maniera particolarmente acuta nel Regno Unito.
Se non affrontiamo queste sfide, il pericolo è che l’Europa fallisca e che il popolo britannico vada alla deriva verso l’uscita.
Non voglio che ciò accada. Voglio che l’Unione europea abbia successo. E voglio una relazione tra il Regno Unito e l’UE che ci permetta di rimanere all’interno dell’Unione. Ecco perché sono qui oggi. Per riconoscere la natura delle sfide che ci troviamo ad affrontare. Per esporre come, a mio avviso, l’Unione europea dovrebbe rispondere a queste sfide. E per spiegare quello che voglio ottenere per il Regno Unito e il suo ruolo all’interno dell’Unione europea.Vorrei iniziare dalla natura delle sfide che ci troviamo ad affrontare. Innanzitutto, l’eurozona.
La struttura dell’Europa del futuro sta prendendo forma. Sono in ballo questioni importanti che definiranno il futuro dell’Unione europea e quello di tutti i paesi membri. L’Unione sta cambiando per permettere di risolvere i problemi della moneta unica, e ciò ha profonde implicazioni per tutti noi, che facciamo parte dell’eurozona o meno. Il Regno Unito non ha adottato la moneta unica e non intende farlo. Ciò nonostante, tutti abbiamo bisogno di un’eurozona che abbia la governance e le strutture adatte a garantire il successo della moneta unica nel lungo periodo. E anche noi, e con noi gli altri paesi che non fanno parte dell’eurozona, abbiamo bisogno di alcune garanzie per fare in modo, ad esempio, che il nostro accesso al mercato unico non venga in alcun modo compromesso.
Ed è giusto iniziare ad affrontare questi problemi adesso. In secondo luogo, se da un lato ci sono alcuni paesi nell’UE che stanno ottenendo buoni risultati, dall’altro le stime indicano che la quota complessiva europea sul totale della produzione mondiale diminuirà di circa un terzo nei prossimi vent’anni. Si tratta della sfida posta dalla competitività, e gran parte della nostra debolezza nel gestire questa sfida è dovuta a noi stessi. Le complesse regole che pongono dei limiti al mercato del lavoro nei nostri paesi non sono dei fenomeni atmosferici, proprio come gli eccessi normativi non sono una piaga esterna che si è abbattuta sulle nostre aziende.
Questi problemi ci sono da troppo tempo, e li si sta affrontando troppo lentamente.
Come ha detto il Cancelliere Merkel, se l’Europa oggi rappresenta solo poco più del 7% della popolazione mondiale, produce circa il 25% del PIL globale e deve finanziare il 50% della spesa sociale globale, allora è ovvio che l’Europa dovrà lavorare molto duro per conservare la sua prosperità e il suo stile di vita. In terzo luogo, c’è sempre maggiore frustrazione rispetto al fatto che l’Europa viene vista come qualcosa di imposto alle persone, piuttosto che come qualcosa che agisce per loro conto. E questa percezione si sta intensificando proprio a causa delle soluzioni necessarie a risolvere i problemi economici.
I cittadini sono sempre più frustrati perché decisioni prese sempre più lontano da loro comportano un forte abbassamento del loro tenore di vita a causa dell’imposizione di misure di austerità, o fanno sì che le tasse che loro pagano siano usate per salvare i governi che si trovano dall’altro lato del continente.
Stiamo iniziando a vederlo con le manifestazioni nelle strade di Atene, Madrid e Roma. Lo vediamo nei parlamenti di Berlino, Helsinki e L’Aia.
E, ovviamente, questa frustrazione nei confronti dell’UE è estremamente evidente nel Regno Unito.
I leader dell’Europa hanno il dovere di ascoltare queste preoccupazioni. Non solo: abbiamo il dovere di agire per arginarle, e non solo per risolvere i problemi dell’eurozona.
Proprio come in ogni emergenza, oltre a gestire la crisi attuale si dovrebbe allo stesso tempo delineare un piano per il dopo-crisi. Pertanto, anche nel pieno delle sfide che abbiamo oggi di fronte, dovremmo pianificare il futuro e offrire una prospettiva di come sarà il mondo una volta superate le difficoltà dell’eurozona.
Il pericolo più grande per l’Unione europea non è rappresentato da chi auspica un cambiamento, bensì da chi denuncia l’approccio innovativo definendolo un’eresia. Nel corso della sua lunga storia l’Europa ha conosciuto diversi eretici che, si è scoperto nel tempo, avevano le loro ragioni.
E la mia ragione è questa. Con le stesse politiche non si potrà garantire all’eurozona un futuro a lungo termine. Con le stesse politiche l’Unione europea non riuscirà a mantenere il passo con le nuove potenze economiche. Con le stesse politiche l’Unione europea non si avvicinerà ai suoi cittadini. Con le stesse politiche si produrranno gli stessi risultati: meno competitività, meno crescita, meno posti di lavoro.
E questo scenario renderà i nostri paesi più deboli e non più forti.
Ecco perché abbiamo bisogno di un cambiamento radicale e di vasta portata.
Lasciatemi quindi esporre la mia visione per una nuova Unione europea, adatta al XXI secolo.
Si basa su cinque principi.
Il primo è la competitività. Al centro dell’Unione europea deve esserci, proprio come adesso, il mercato unico. Il Regno Unito è al centro del mercato unico e così deve continuare a essere.
Ma se il mercato unico rimane incompleto nei settori dei servizi, dell’energia e del web (quelli che più di ogni altro sono il motore dell’economia moderna), raggiungiamo solo la metà dei risultati che potremmo avere.
Non ha senso che le persone che fanno shopping online in alcune parti d’Europa non possano accedere alle offerte migliori a causa di dove vivono. Voglio che il completamento del mercato unico sia la nostra missione principale.
Voglio che l’Unione sia in prima linea negli accordi commerciali trasformativi con gli Stati Uniti, il Giappone e l’India, per contribuire ad andare verso il libero scambio globale. E voglio che facciamo pressioni per esentare le piccole imprese europee da ulteriori direttive UE.
Questi dovrebbero essere i compiti ben impressi nella mente dei funzionari europei sin dal risveglio e per i quali lavorare fino a tarda sera. Dobbiamo quindi rivedere il processo decisionale inefficace e rigido che ci sta impedendo di fare progressi.
Ciò significa creare un’Unione più snella, meno burocratica, inesorabilmente impegnata ad aiutare i paesi membri a essere competitivi.
In una competizione globale, possiamo veramente giustificare il gran numero di costose istituzioni europee periferiche?
Possiamo giustificare una Commissione che continua a espandersi?
Possiamo andare avanti con un’organizzazione che ha un budget multimiliardario ma che non è sufficientemente focalizzata sul controllo della spesa e della chiusura dei programmi che non hanno funzionato?
E vorrei domandare: se la competitività del mercato unico è così importante, perché c’è un consiglio dell’ambiente, un consiglio dei trasporti e un consiglio dell’istruzione ma non un consiglio del mercato unico? Il secondo principio dovrebbe essere la flessibilità. Abbiamo bisogno di una struttura in grado di adeguarsi alle differenze tra i suoi paesi membri: del nord o del sud, dell’est o dell’ovest dell’Europa, grandi o piccoli, vecchi o nuovi. Alcuni di questi paesi stanno prendendo in considerazione una maggiore integrazione economica e politica, mentre molti altri, tra cui il Regno Unito, non abbraccerebbero mai un simile obiettivo.
Riconosco, ovviamente, che per far funzionare il mercato unico abbiamo bisogno di un sistema di regole comuni e di modalità per applicarle. Ma dobbiamo anche essere in grado di rispondere rapidamente agli ultimi sviluppi e tendenze. La competitività richiede flessibilità, possibilità di scelta e apertura, altrimenti l’Europa finirà in una terra di nessuno tra le economie emergenti dell’Asia e l’America settentrionale trainata dal mercato. L’UE deve essere in grado di agire con la rapidità e la flessibilità di una rete e non con la scomoda rigidità di un blocco. Non dobbiamo essere oppressi dall’insistenza su un approccio unico secondo cui tutti i paesi desiderano lo stesso livello di integrazione. Il punto è che non tutti lo vogliono e non dovremmo sostenere il contrario.
Alcuni diranno che queste affermazioni sono un oltraggio al principio chiave della filosofia costituente dell’UE. A mio avviso, esse riflettono semplicemente la realtà odierna dell’Unione europea. 17 membri fanno parte dell’eurozona, 10 no. 26 paesi europei fanno parte dell’Accordo Schengen, compresi quattro paesi esterni all’Unione europea, ovvero la Svizzera, la Norvegia, il Liechtenstein e l’Islanda. Due paesi dell’UE, il Regno Unito e l’Irlanda, hanno invece deciso di mantenere il controllo delle frontiere. Alcuni membri, come il Regno Unito e la Francia, sono pronti, disposti e in grado di intervenire in Libia o in Mali. Altri non vedono di buon occhio l’uso della forza militare.
Accettiamo di buon grado queste differenze, invece di tentare di reprimerle. Smettiamo tutti di parlare di Europa a due velocità, di corsie veloci e lente, di paesi che perdono il treno e l’autobus, e mettiamo da parte una volta per tutte questo logoro bagaglio di metafore. Partiamo invece da quest’affermazione: siamo una famiglia di nazioni democratiche, e tutte facciamo parte di un’Unione europea il cui fondamento è il mercato unico e non la moneta unica. Coloro che sono fuori dall’euro riconoscono che chi fa parte dell’eurozona sarà probabilmente costretto ad apportare delle importanti modifiche istituzionali. D’altra parte, i membri dell’eurozona dovrebbero accettare che noi, come ovviamente tutti i paesi membri, avremo bisogno di apportare cambiamenti per tutelare i nostri interessi e rafforzare la legittimazione democratica. E anche noi dovremmo essere in grado di apportare questi cambiamenti.
Alcuni dicono che quest’atteggiamento intaccherà il principio dell’UE e che non si può scegliere sulla base dei bisogni della propria nazione. Ma invece di intaccare l’UE, ciò creerà invece un legame ancor più forte tra i suoi membri, dato che una forma di cooperazione così flessibile e solerte è un collante ancora maggiore di una costrizione dal centro. Fatemi fare un’altra proposta eretica. Con il Trattato europeo gli stati s’impegnano a “porre le basi di un’unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa”. Quest’affermazione è sempre stata interpretata con riferimento non ai popoli ma agli stati e alle istituzioni. A ciò si è aggiunta una Corte europea di giustizia che ha sempre sostenuto una maggiore centralizzazione. Noi comprendiamo e rispettiamo il diritto degli altri paesi di mantenere fede al loro impegno nei confronti di quest’obiettivo. Ma per il Regno Unito, e forse anche per altri paesi, questo non è un obiettivo. E avremmo meno difficoltà se ci fosse un riferimento specifico in tal senso nel Trattato, così da lasciare liberi di andare avanti quei paesi che lo vogliano, in tempi più rapidi e senza che altri paesi ne rallentino il passo.
Quindi, a chi dice che non abbiamo una visione per l’Europa, dico invece che ce l’abbiamo. Noi crediamo in un’unione flessibile di paesi membri liberi che condividono trattati e istituzioni e perseguono insieme l’ideale della cooperazione: per rappresentare e promuovere i valori della civiltà europea nel mondo; per promuovere i nostri interessi comuni utilizzando il nostro potere collettivo per favorire l’apertura dei mercati; e per costruire una forte base economica in tutta Europa.
E crediamo nella collaborazione tra le nostre nazioni: per tutelare la sicurezza e la varietà delle nostre forniture energetiche; per combattere i cambiamenti climatici e la povertà globale; per lavorare insieme contro il terrorismo e la criminalità organizzata; e per continuare ad accogliere nuovi paesi nell’UE. Questa idea di flessibilità e cooperazione non è la stessa di coloro che vogliono costruire un’unione politica ancora più stretta, ma è altrettanto valida. Il mio terzo principio è che deve essere possibile restituire poteri ai paesi membri, e non solo sottrarne ancora. Questa fu la promessa dei leader europei a Laeken una decina d’anni fa. La promessa, pur inserita nel Trattato, non è mai stata mantenuta. Dobbiamo applicare questo principio in modo corretto.
E allora cogliamo l’occasione, come suggerito recentemente dal Primo Ministro olandese, per valutare attentamente ciò che l’UE nel suo insieme dovrebbe fare e cosa dovrebbe smettere di fare.
Nel Regno Unito abbiamo già avviato una revisione della distribuzione delle competenze, per ottenere un’analisi dettagliata e obiettiva delle aree in cui l’UE è utile e di quelle in cui crea ostacoli.
Non dobbiamo farci fuorviare dalla falsa convinzione che, perché il mercato unico sia incisivo e pienamente realizzabile, tutto deve essere armonizzato, inseguendo un irrealizzabile gioco alla pari.
I paesi sono diversi tra loro. Fanno scelte diverse. Non possiamo armonizzare tutto. Ad esempio, non è né giusto né necessario affermare che l’integrità del mercato unico, o la piena appartenenza all’Unione europea, richieda che gli orari lavorativi dei medici negli ospedali britannici siano decisi a Bruxelles, senza tenere conto delle opinioni dei parlamentari e dei professionisti britannici.
Allo stesso modo, dobbiamo valutare se c’è il giusto equilibrio nelle aree in cui l’Unione europea ha legiferato, tra cui l’ambiente, gli affari sociali e la criminalità. Nessun ambito dovrebbe essere tralasciato. Il mio quarto principio è la responsabilità democratica: dobbiamo prevedere un ruolo più importante e significativo per i parlamenti nazionali. Non c’è, a mio parere, un unico popolo europeo. Sono i parlamenti nazionali la fonte autentica della vera legittimazione e responsabilità democratica nell’UE, e continueranno ad esserlo.
È al Bundestag che Angela Merkel deve rispondere. È dal Parlamento greco che Antonis Samaras deve ottenere l’approvazione per le misure di austerità del suo governo. È al Parlamento britannico che io devo rendere conto sui negoziati per il bilancio dell’UE, o sulla tutela della nostra posizione nel mercato unico. Questi sono i Parlamenti che incutono vero rispetto, e persino timore, nei leader nazionali. Dobbiamo riconoscere questo nel modo in cui l’UE agisce. Il mio quinto principio è l’equità: qualsiasi siano i nuovi accordi per l’eurozona, devono funzionare in modo equo per chi è dentro e per chi è fuori. Questo sarà particolarmente importante per il Regno Unito. Come ho già detto, noi non aderiremo alla moneta unica. Ma non c’è una motivazione economica schiacciante per cui la moneta unica e il mercato unico debbano avere gli stessi confini, esattamente come avviene per il mercato unico e per Schengen. La nostra partecipazione al mercato unico, e la nostra capacità di contribuire a definirne le regole, è per noi la ragione principale per essere membri dell’UE. È quindi per noi di vitale interesse proteggere l’integrità e l’equità del mercato unico per tutti i suoi membri. Ed è per questo che il Regno Unito si è tanto preoccupato di promuovere e difendere il mercato unico in un momento in cui la crisi dell’eurozona spinge a riscrivere le regole del coordinamento in ambito fiscale e dell’unione bancaria.
Questi cinque principi delineano quello che ritengo sia il giusto approccio per l’Unione europea.
Fatemi passare ora a ciò che questo significa per il Regno Unito. Oggi, la delusione dei cittadini nei confronti dell’UE è ai massimi livelli, per diverse ragioni. I cittadini hanno la sensazione che l’UE si stia muovendo in una direzione alla quale non hanno mai dato la loro adesione. Sono infastiditi dalle interferenze nella vita del nostro Paese da parte di quelle che, a loro parere, sono regole non necessarie. E si domandano quale sia il senso di tutto ciò. In parole povere, molti si chiedono “perché non possiamo avere semplicemente ciò a cui abbiamo scelto di aderire, ovvero un mercato comune?”.
Provano rabbia nei confronti di alcune sentenze europee che hanno un impatto sulla vita nel Regno Unito. Parte di questa avversione nei confronti dell’Europa in generale riguarda in realtà la Corte europea dei diritti umani, e non l’UE. E il Regno Unito è in prima fila nel portare avanti gli sforzi europei in quest’ambito.
Su questo fronte, in effetti, bisogna fare molto di più. Ma i cittadini si rendono anche conto che l’UE si sta muovendo nella direzione di un livello d’integrazione politica che va molto al di là delle aspirazioni del Regno Unito. Trattato dopo trattato, vedono modificarsi l’equilibrio tra i paesi membri e l’UE. E hanno notato che non è stata mai data loro la possibilità di esprimersi. Sono stati promessi loro dei referendum che non si sono mai svolti. Hanno visto ciò che è accaduto all’euro. E, all’epoca, hanno visto molti dei nostri leader politici e imprenditori premere affinché il Regno Unito si unisse all’euro. E non hanno notato molte espressioni di pentimento.
E guardano ai passi che l’eurozona sta compiendo e si domandano cosa implicherà una maggiore integrazione nell’eurozona per un Paese che non intende adottare l’euro. Il risultato è che nel Regno Unito il consenso popolare nei confronti dell’UE è ormai estremamente ridotto.
Alcuni affermano che sottolineare questo è da irresponsabili, che crea incertezze per le imprese e pone un interrogativo su quale sia il posto del Regno Unito nell’Unione europea.
Ma l’interrogativo esiste già e ignorarlo non servirà ad allontanarlo.
In realtà, è proprio il contrario. Chi si rifiuta di prendere in considerazione l’ipotesi di consultare il popolo britannico renderebbe, a mio avviso, più probabile la nostra uscita. Chiedere al popolo britannico semplicemente di continuare ad accettare un accordo europeo sul quale hanno avuto poca scelta è la strada più facile per portare il popolo britannico a rifiutare l’UE quando la domanda sarà infine posta – e a un certo punto lo si dovrà fare. Ecco perché sono a favore di un referendum. Credo nell’importanza di affrontare la questione, strutturarla e guidare il dibattito, invece di sperare semplicemente che una situazione difficile se ne vada da sola. Alcuni affermano che la soluzione è quindi quella di tenere un referendum diretto, dentro o fuori, ora. Comprendo l’impazienza di chi vuole compiere quella scelta immediatamente. Ma non ritengo che prendere una decisione in questo momento sia la strada giusta, per il Regno Unito o per l’Europa nel suo complesso. Un voto oggi tra lo status quo e l’uscita rappresenterebbe solamente una falsa scelta.
Ora che l’UE è in continuo cambiamento, e in un momento in cui non sappiamo cosa ci riserverà il futuro e che tipo di UE emergerà da questa crisi, non sarebbe giusto prendere una decisione così importante per il futuro del nostro Paese.
È un errore chiedere ai cittadini se rimanere o uscire prima di aver avuto l’opportunità di migliorare la relazione con l’Unione. Come possiamo dare una risposta sensata alla domanda ‘dentro o fuori’ senza essere in grado di rispondere all’interrogativo fondamentale: “qual è l’Unione da cui stiamo scegliendo di uscire, o in cui scegliamo di restare?”. L’Unione europea che emergerà dalla crisi dell’eurozona sarà un’istituzione trasformata, resa probabilmente irriconoscibile dalle misure necessarie a salvare l’eurozona. Dobbiamo aspettare un po’ per far sì che questo avvenga, e contribuire a dare forma al futuro dell’Unione europea, così che, quando verrà il momento di compiere la scelta, sarà una scelta reale. Una scelta reale tra andar via e partecipare a un nuovo accordo in cui il Regno Unito contribuisce a definire le regole del mercato unico e le rispetta, ma è anche tutelato con misure eque, e protetto contro norme faziose che danneggiano la competitività.
Una scelta tra uscire dall’Unione o far parte di un nuovo accordo in cui il Regno Unito sia in prima linea nell’azione collettiva su questioni come la politica estera e il commercio, e in cui si lasci la porta fermamente aperta a nuovi membri.
Un nuovo accordo, soggetto alla legittimazione democratica dei parlamenti nazionali e che risponda a essi, in cui i paesi membri si uniscano in una collaborazione flessibile, rispettando le differenze nazionali e non cercando sempre di eliminarle, e nella quale venga dimostrato che alcuni poteri possono in realtà essere restituiti ai paesi membri. In altre parole, un accordo pienamente in linea con la missione di creare un’Unione europea al passo con i tempi come l’ho descritta oggi. Più flessibile, più adattabile, più aperta – adeguata ad affrontare le sfide dell’età moderna.
E a coloro che dicono che un nuovo accordo non può essere negoziato, vorrei dire di ascoltare il punto di vista di altri paesi europei, che sono a favore di una restituzione dei poteri agli stati europei. E guardate anche a ciò che abbiamo già ottenuto. Abbiamo messo fine all’obbligo del Regno Unito di partecipare al salvataggio dei membri dell’eurozona. Abbiamo tenuto il Regno Unito fuori dal fiscal compact. Abbiamo avviato un processo per restituire al paese alcuni dei poteri in ambito di giustizia e affari interni. Ci siamo assicurati la tutela per quanto riguarda l’Unione Bancaria. E abbiamo riformato le politiche relative all’industria ittica. Stiamo quindi iniziando a dare corpo alle riforme di cui abbiamo bisogno ora. Alcune non richiederanno una modifica di Trattato.
Ma concordo anche con ciò che hanno affermato il Presidente Barroso e altri. A un certo punto, nel corso dei prossimi anni, l’UE dovrà concordare delle modifiche di Trattato per apportare i cambiamenti necessari per il futuro a lungo termine dell’Euro e per consolidare l’Europa che vogliamo, ovvero l’Europa della diversità, della competitività e della responsabilità democratica.
Io credo che il modo migliore per farlo sia attraverso un nuovo Trattato, e mi unisco pertanto alle voci che stanno già chiedendo che questo avvenga.
Preferirei di gran lunga realizzare questi cambiamenti per tutta l’UE, e non solo per il Regno Unito.
Ma se l’auspicio di un nuovo Trattato non è condiviso, allora il Regno Unito dovrebbe essere pronto a negoziare le modifiche di cui ha bisogno direttamente con i suoi partner europei. Nel 2015, il nuovo Manifesto del Partito Conservatore chiederà al popolo britannico un mandato perché un Governo Conservatore negozi un nuovo accordo con i nostri partner europei nel corso della prossima legislatura. Sarà una relazione con al centro il mercato unico. E quando avremo negoziato il nuovo accordo, offriremo al popolo britannico un referendum con una scelta molto semplice: dentro o fuori. Restare nell’UE a queste nuove condizioni, o uscirne del tutto.
Sarà un referendum ‘dentro o fuori’.
Una prima bozza di tale legislazione sarà preparata prima delle prossime elezioni. E se sarà eletto un Governo Conservatore, introdurremo immediatamente la legislazione che conferisce ad esso la delega, e la approveremo prima della fine di quell’anno. E porteremo a termine i negoziati e terremo il referendum entro la prima metà della prossima legislatura. È giunto il momento per i cittadini britannici di dire la propria. È il momento di risolvere questa questione europea all’interno della politica britannica. Al popolo britannico dico: la decisione sarà vostra.
E quando giungerà il momento di fare questa scelta, dovrete prendere una decisione importante riguardo al destino del nostro Paese. Comprendo l’attrattiva dell’andare per la nostra strada, del pianificare da soli la nostra rotta. Ma sarà una decisione da prendere a sangue freddo. I sostenitori di entrambe le parti dovranno evitare di ingigantire le proprie affermazioni. È ovvio che il Regno Unito potrebbe cavarsela nel mondo anche da solo, fuori dall’UE, se scegliessimo di farlo. Così potrebbe fare qualsiasi altro Stato membro. Ma la domanda che dovremo porci è questa: è quello il miglior futuro in assoluto per il nostro Paese? Dovremo valutare attentamente dove risiedono i nostri reali interessi nazionali. Da soli, saremmo liberi di prendere le nostre decisioni autonomamente, così come saremmo liberi dal nostro solenne impegno a difendere i nostri alleati se uscissimo dalla NATO. Ma non usciamo dalla NATO perché è nel nostro interesse nazionale restare e godere della garanzia di difesa collettiva.
Abbiamo più potere e più influenza, nell’implementare le sanzioni contro l’Iran o contro la Siria, o nel promuovere la democrazia in Birmania, se possiamo agire insieme. Se andiamo via dall’UE, non possiamo ovviamente andar via dall’Europa che rimarrà per molti anni il nostro principale mercato, e per sempre il nostro vicino geografico. Siamo legati da una complessa rete di vincoli legali.
Centinaia di migliaia di cittadini britannici danno oggi per scontato il loro diritto di lavorare, vivere o andare in pensione in qualsiasi altro Paese dell’UE. Anche se ne uscissimo completamente, le decisioni prese nell’UE continuerebbero ad avere un profondo impatto sul nostro Paese. Ma perderemmo tutti i poteri di veto che abbiamo ancora a disposizione e la possibilità di dire la nostra su quelle decisioni.
Dovremmo soppesare molto attentamente le conseguenze del fatto di non essere più dentro l’UE e il suo mercato unico, come membro a pieno titolo. Continuare ad avere accesso al Mercato Unico è di vitale importanza per le imprese britanniche e per l’occupazione nel Regno Unito. A partire dal 2004, il Regno Unito è stata la destinazione di un quinto degli investimenti in entrata in Europa. Ed essere parte del Mercato Unico è stato di vitale importanza per un simile successo. Ci sarà tempo in abbondanza per verificare scrupolosamente tutte le tesi, che esse siano a favore o contro l’accordo che negozieremo. Ma fatemi solo affrontare un punto di cui spesso sentiamo parlare.
Ci sono alcuni che suggeriscono che potremmo diventare come la Norvegia o la Svizzera: con accesso al Mercato Unico ma fuori dall’UE. Ma sarebbe veramente la cosa migliore per noi?
Ammiro quei paesi e sono paesi amici, tra l’altro, ma sono molto diversi da noi. La Norvegia detiene le più grandi riserve di energia d’Europa, e ha un fondo sovrano di oltre 500 miliardi di euro. E mentre la Norvegia fa parte del mercato unico, e ne paga il prezzo, non ha voce in capitolo nel definirne le regole. Deve solo implementarne le direttive.
Gli svizzeri devono negoziare l’accesso al Mercato Unico settore per settore. Devono accettare le regole dell’UE, su cui non hanno voce in capitolo, per ottenere pieno accesso al Mercato Unico, anche in settori chiave come i servizi finanziari. Il fatto è che, se aderisci a un’organizzazione come l’Unione europea, ci sono delle regole. Non ottieni sempre ciò che vuoi. Ma non vuol dire che dovremmo andar via, non se restare e lavorare insieme offre maggiori vantaggi. Dovremmo prendere attentamente in considerazione anche l’impatto sulla nostra influenza sui vertici degli affari internazionali. Non c’è alcun dubbio sul fatto che siamo più potenti a Washington, a Pechino, a Delhi perché siamo un giocatore importante all’interno dell’Unione europea. Questo è importante per l’occupazione nel Regno Unito e per la sicurezza del Regno Unito.
È importante per la nostra capacità di ottenere che si realizzino determinate cose nel mondo. È importante per gli Stati Uniti e per altri paesi amici a livello mondiale, ed è la ragione per cui molti ci dicono molto chiaramente che desiderano che il Regno Unito rimanga nell’UE. Dovremmo pensarci molto attentamente prima di abbandonare quella posizione. Se lasciassimo l’Unione europea, lo faremmo con un biglietto di sola andata, non di andata e ritorno. Avremo quindi il tempo per un dibattito vero e proprio, ragionato. Alla fine di quel dibattito voi, cittadini britannici, deciderete.
E dico ai nostri partner europei, alcuni dei quali sono indubbiamente frustrati dall’atteggiamento britannico: lavorate con noi su questo.
Guardate i progressi straordinari che i membri dell’eurozona stanno facendo per tenere insieme l’euro. Sono passi che un anno fa sarebbero sembrati impossibili. A me non sembra che ciò che sarebbe necessario per far sì che il Regno Unito, così come altri paesi, sia più a suo agio nella propria relazione con l’Unione europea sia qualcosa di intrinsecamente così bizzarro o irragionevole. E così come ritengo che il Regno Unito dovrebbe desiderare di restare nell’UE, così l’UE dovrebbe desiderare che noi restassimo. Perché un’UE senza Regno Unito, senza una delle maggiori potenze d’Europa, un Paese che sotto molti aspetti ha inventato il mercato unico, e che dà peso reale all’influenza dell’Europa sulla scena mondiale, che rispetta le regole e che è una forza riformatrice in ambito economico in senso liberale, sarebbe un’Unione europea molto diversa.
Ed è difficile affermare che l’UE non avrebbe molto da perdere da un eventuale addio del Regno Unito.
Fatemi concludere questo discorso dicendo questo. So bene quale sia la portata del compito che ci aspetta. So che ci sarà chi affermerà che la visione che ho delineato sarà impossibile da realizzare. Che non esiste la possibilità possibile che i nostri partner collaborino. Che il popolo britannico si è messo sulla strada che va verso un’inevitabile uscita. E che se non siamo a nostro agio come membri dell’UE dopo 40 anni, non lo saremo mai. Ma mi rifiuto di accettare un atteggiamento così disfattista, sia nei confronti del Regno Unito che nei confronti dell’Europa. Perché con coraggio e convinzione ritengo che si possa realizzare un’Unione europea più flessibile, adattabile e aperta, che soddisfi gli interessi e le ambizioni di tutti i suoi membri.
Con coraggio e convinzione ritengo che si possa raggiungere un nuovo accordo in cui il Regno Unito possa sentirsi a proprio agio, e in cui tutti i nostri paesi possano prosperare. E quando ci sarà il referendum, fatemi dire ora che se riusciremo a negoziare un simile accordo, io mi batterò a suo favore con il cuore e l’anima. Perché credo molto profondamente in una cosa. Che l’interesse nazionale britannico possa ottenere il meglio da un’Unione europea flessibile, adattabile e aperta, e che una tale Unione europea sarebbe migliore con il Regno Unito come membro. Nelle settimane, nei mesi e negli anni a venire, non avrò pace fino a che questo dibattito sarà concluso. Per il futuro del mio Paese. Per il successo dell’Unione europea. E per la prosperità dei nostri popoli per le generazioni a venire.