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Il torchio fiscale italiano provoca la desertificazione industriale del Nord

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

L’Italia, statistiche Ocse alla mano, è il Paese dell’euro con il più elevato livello di pressione fiscale sul pil: il 45,3%. Una follia economica anche perché a questo grado di prelievo tributario corrisponde una qualità di servizi pubblici anni luce distante da quelli resi dalla Germania o dalla Olanda alle proprie imprese. Impensabile che una tale asimmetria fiscale possa dispiegare le proprie dinamiche senza produrre profondi contraccolpi sulle decisioni di investimento e di produzione delle imprese. Soprattutto di quelle localizzate nel Nord dell’Italia, la regione più integrata con il resto dell’Eurozona. Risultato?

A frotte ormai le aziende del Nord stanno trasferendosi in Austria, Germania, Slovenia e sempre di più anche in Svizzera, che non fa parte dell’euro ma offre condizioni anche fiscali eccellenti. Del resto, l’euro non è soltanto una moneta unica e uno spread, ma anche un’area economica e finanziaria integrata nella quale dare attuazione a politiche di ottimizzazione per favorire il miglior rendimento e la massima competitività del capitale.

Significa che le imprese italiane più competitive, perché meglio integrate nella globalizzazione, hanno già lasciato o si preparano a farlo nei prossimi tempi, le loro storiche localizzazioni per spostarsi in nuovi quartier generali nell’Eurozona. La libertà di stabilimento e il mercato unico favoriscono, anzi sollecitano, queste decisioni. Negli Usa, se la California pensasse di tassare del 10% o più le sue imprese rispetto all’Oregon, subirebbe la stessa migrazione di pil che oggi sta registrando l’Italia. Il rischio della delocalizzazione del capitale, anche umano, a maggior valore aggiunto dall’Italia verso i paesi più competitivi dell’euro non è mai stato così concreto come oggi.

Stavolta le imprese del Nord non vanno in Romania o in Bulgaria alla ricerca del costo unitario di produzione più basso per trasferire le fabbriche. Questa volta se ne vanno le direzioni generali e tutta l’impresa in blocco con annessa conoscenza specialistica e avviamento. Aziende che, una volta migrate in Austria o in Olanda, difficilmente torneranno poi nel Belpaese. La desertificazione del pil del Nord è il vero rischio di un’Italia che si illude di poter tassare il 45,3% del valore creato senza subire contraccolpi sistemici e di lungo periodo.



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