Un accordo equilibrato per un’Europa forte, superando i privilegi di alcuni Stati come l’Inghilterra e con un focus sui capitoli di spesa ad alto valore aggiunto. L’ex ministro degli Esteri Franco Frattini non ha dubbi, questi sono i punti su cui il premier Mario Monti e il ministro per gli Affari Europei, Enzo Moavero, possono e devono battere i pugni al tavolo del Consiglio europeo che si tiene oggi e domani e che dovrà decidere del budget dell’Unione europea per i prossimi sette anni. Puntando soprattutto a ottenere finanziamenti per la lotta alla disoccupazione giovanile.
Un accordo equilibrato
“Sul bilancio 2014-2020 – spiega in una conversazione con Formiche.net l’attuale presidente della Fondazione De Gasperi oltre che responsabile del gruppo di esperti del Ppe sulla politica estera – è fondamentale raggiungere un accordo equilibrato”, dando così “l’impressione di un’Unione più integrata”. Dalla logica di contrazione del bilancio a tutti i costi, con il taglio dei capitoli sviluppo e crescita, “emergerebbe invece l’immagine di un’Europa minima”.
Gli interessi nazionali a Bruxelles
Alleanze vere e proprie, secondo Frattini, non esistono. “Posizioni comuni fra Paesi sull’agricoltura non escludono opinioni diverse sulle politiche infrastrutturali. Non parlerei di alleanze ma di Paesi che vogliono un’Europa più ambiziosa, che non sono disponibili ad accettare tagli a tutti i costi, e Stati membri, come la Gran Bretagna, per cui il tema della riduzione dei costi è più importante dell’ambizione sul futuro dell’Europa”.
Il nodo dell’indice di prosperità
Ma le campagne elettorali entrano di forza anche a Bruxelles. “Il raggiungimento dell’accordo è reso più difficile dalle scadenze elettorali, non solo quella italiana. Anche la Germania sarà chiamata alle urne a settembre. Ciò pone gli interessi nazionali ancora più alla luce per l’opinione pubblica”. Ma per l’Italia una questione è cruciale: “Negli ultimi anni il nostro indice di prosperità è al di sotto della media europea. Eravamo sopra la soglia (100) all’inizio dell’esercizio finanziario nel 2007, ma ora siamo intorno a 94-96 e nel 2020 saremo a 94-95, ben 5 punti in meno, a causa delle ripercussioni della crisi”.
Il cortocircuito salta agli occhi facilmente: “Se scendiamo sotto la media europea sull’indice di prosperità e al tempo stesso versiamo 4 miliardi circa in più di quanto otteniamo, significa che un Paese più povero contribuisce a pagare per uno Stato membro più ricco (Gran Bretagna o Austria), e questo è impossibile da accettare”, sottolinea.
La posizione inglese
Londra beneficia della battaglia condotta negli anni Ottanta dal premier conservatore Margaret Thatcher. “C’è un accordo storico per l’Unione europea, che si tenne nel 1984 a Fontainebleau, che garantì alla Thatcher il British Rebate, per cui la Gran Bretagna si fa rimborsare dei soldi dall’Ue”. L’accordo ci fu, spiega Frattini, perché “si disse che la Gran Bretagna pagava troppo rispetto al suo indice di prosperità, che allora era più basso di quello italiano”. La giustificazione storica dell’accordo è dunque legata al fatto che l’indice di prosperità di un Paese sia più alto o più basso. “Noi siamo oggi più poveri della media europea ma siamo il terzo contributore netto dopo la Germania e la Francia. O si decide un’attribuzione all’Italia di fondi aggiuntivi (per l’agricoltura e la politica di coesione) oppure sarà difficile accettare il bilancio”, osserva.
E questo parametro deve tornare al centro del dibattito, a maggior ragione se si confronta la situazione italiana con quella di altri Stati. “La Germania presenta un indice di prosperità pari 125, la Spagna a 92. “Ma, questo è il punto, Madrid non è un contributore netto come l’Italia”. Negli ultimi negoziati “si è consolidata questa prassi e non si è tenuto conto delle oscillazioni dell’indice di prosperità, un tema che deve tornare invece ad essere centrale”. Il British Rebate stesso nasce dal fatto che al tempo “Londra era più povera di noi, ma oggi la situazione si è rovesciata”.
Gli obiettivi della missione Monti-Moavero
Ma qual è il cuore della missione Monti-Moavero? “Spero che l’Italia ottenga i fondi supplementari per l’agricoltura e per le politiche di coesione e chieda con forza un finanziamento e un contributo per la disoccupazione giovanile che è un ammortizzatore fondamentale”. D’altra parte, “il ministro Moavero conosce perfettamente il dossier e ha tutta l’autorevolezza per condurre le trattative. Inoltre, il peso politico di Mario Monti è molto forte e riconosciuto in tutta Europa, e questo può portare ad un cambiamento dello schema, introducendo i cambiamenti necessari ed evitando che l’Europa tolga risorse dai capitoli sullo sviluppo, la crescita e l’innovazione”.
Naturalmente, è più facile decidere tagli sugli investimenti che non si vedono, “come sulla politica estera europea. Poi però non si chieda che l’Europa sia un attore di primo piano sullo scenario politico internazionale”, chiosa.
La strategia della cancelliera tedesca Merkel
Ma secondo l’ex ministro quella della Germania potrebbe essere una tattica negoziale. D’altra parte, “la cancelliera tedesca Angela Merkel ha una visione dell’Europa da protagonista, come la nostra. La sua, probabile, strategia? Chiedere la diminuzione dei fondi da destinare al deficit europeo per concentrarli sui settori a più alto valore aggiunto come la ricerca, lo sviluppo e la crescita (infrastrutture e investimenti)”.
Il ruolo del Parlamento europeo dopo il Trattato di Lisbona
C’è poi da considerare un aspetto di novità per questo negoziato rispetto a quelli passati. “Con il Trattato di Lisbona il Parlamento europeo ha il potere di codecisione sul bilancio, e se ci fosse un compromesso al ribasso potrebbe bocciarlo, così come il presidente (tedesco) Martin Schulz ha lasciato intendere. La maggioranza del Parlamento oggi non accetta una restrizione della politica di bilancio sulla crescita”. E il no di Strasburgo sarebbe una doppia brutta figura per l’Unione, dopo quella relativa all’approvazione di un bilancio per un’Europa minima”.
Ma l’attenzione sarà focalizzata anche sulle attribuzioni per i singoli capitoli di spesa. “La Polonia e la Francia – spiega – ritengono l’agricoltura un punto imprescindibile, mentre i Paesi dell’Est e l’Italia, la Grecia e la Spagna puntano a rafforzare le politiche di coesione e non possono quindi accettare tagli a questo capitolo, che intaccano direttamente le loro regioni molto meno sviluppate rispetto alla media europea”.
La lotta alla disoccupazione giovanile
E allora, non resta che concentrarsi sui capitoli ad alto valore aggiunto: “L’agricoltura non è paragonabile in questo senso al valore rappresentato dalle infrastrutture transeuropee e dalla lotta alla disoccupazione giovanile. E’ fondamentale che non si tocchino i capitoli che a noi interessano di più”. Ma, è sicuro, “l’Italia meriterebbe dei finanziamenti supplementari per combattere l’emergenza della disoccupazione giovanile”.