Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Guido Salerno Aletta apparso giovedì scorso del quotidiano MF/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi.
Con l’inizio del nuovo millennio, l’introduzione dell’euro e l’ingresso della Cina nel Wto hanno segnato una svolta nelle relazioni monetarie ed economiche globali. Per circa dieci anni, sia all’interno dell’Europa sia nelle relazioni transpacifiche, la Germania da una parte ed il complesso di Giappone e Cina dall’altra hanno registrato cospicui surplus commerciali strutturali che sono stati ampiamente reinvestiti all’estero.
Dopo la crisi, questo processo si è profondamente modificato. Si è rarefatta la circolazione dei capitali, e la fuga dal rischio è stata essa stessa causa di instabilità sistemica: le banche tedesche hanno drenato le risorse erogate in precedenza ai Paesi meridionali, tramutate in un credito della Bundesbank nei confronti delle altre banche centrali dell’Eurosistema, pari a ben 687 miliardi di euro nel dicembre scorso. Le banche francesi hanno fatto altrettanto, se non di più, nei confronti dell’Italia, ritirandole crediti e riducendo gli impieghi. Verso l’esterno, il sistema dei cambi è andato in altalena. In particolare il rapporto tra euro e dollaro ha conosciuto un andamento che ha riflesso in maniera pressochè automatica le percezioni di
maggior o minore fiducia sulla tenuta della moneta europea e delle economie periferiche.
Il rapporto euro/dollaro, che era salito dallo 0,83 del 20 novembre 2000 al picco di 1,58 del 14 luglio 2008, è franato ripetutamente, salvo poi riprendersi, in coincidenza con le tre successive ondate di crisi che hanno colpito l’Europa: quella americana nel settembre 2008; quella del temuto default della Grecia nell’inverno 2010; quella causata dalle tensioni prima sull’Italia e poi sul sistema bancario spagnolo nel periodo che va dal secondo semestre 2011 al secondo semestre 2012. Di fatto, però, dalla metà dello scorso mese di luglio, l’euro ha rimesso le ali ai piedi: da un rapporto di 1,21 sul dollaro è arrivato a superare l’1,35. In sei mesi, l’euro si è apprezzato quindi del 10% sul dollaro. In maniera sostanzialmente analoga si è comportato il cambio tra euro e yen: in questo caso, però, la rivalutazione è stata molto più elevata, pari al 25,3%, visto che mentre ad agosto con un euro si compravano appena 98 yen, in questi giorni se ne comprano addirittura 126. Di certo, ha pesato sulla recente rivalutazione dell’euro la grande determinazione con cui nella scorsa estate il Governatore della Bce Mario Draghi ha avvertito i mercati
che sarebbero state prese tutte le misure necessarie per difendere la moneta europea.
Per quanto riguarda le relazioni finanziarie internazionali, va sottolineato come da un anno a questa parte la Banca del popolo cinese non abbia più aumentato il proprio impegno in titoli del Tesoro americano: anzi, lo ha ridotto, passando dai 1.254,6 miliardi di dollari del novembre 2011 ai 1.170,1 miliardi del novembre scorso. Sul versante valutario, però, mentre da sei mesi a questa parte lo yuan cinese si è rivalutato del 2,27% rispetto al dollaro, l’euro si è rivalutato sullo yuan, registrando un +7,6% in meno di tre mesi, visto che il cambio è passato dai 7,9 yuan per 1 euro dello scorso novembre ai ben 8,5 yuan di questi ultimi giorni.
Il Giappone, invece, tra novembre 2011 e novembre 2012 ha continuato ad acquistare titoli del Tesoro americano, passando da 1.066,4 miliardi di dollari a 1.132,8 miliardi. La conseguenza sul cambio tra yen e dollaro è stata ancora più rilevante, visto da agosto scorso lo yen si è addirittura svalutato del 15,6%. Di pari passo, lo yen si è svalutato del 17,5% sullo yuan cinese.
Non vi è dubbio che, da luglio in avanti, sui mercati internazionali è tornata la fiducia sulla moneta unica europea: ma, forse, una sua rivalutazione del 10% rispetto al dollaro, del 25,3% sullo yen e del 7,6% sullo yuan sembra davvero eccessiva. Il quadro sembra abbastanza nitido: ognuno si sta aggiustando i conti a spese dell’Europa. Tutto si tiene. La Cina infatti sta rivalutando, ancorchè molto lentamente, lo yuan nei confronti del dollaro, mentre quest’ultimo si è svalutato nuovamente nei confronti dell’euro: in questo modo, mentre la Cina non rinuncia alla crescita, gli Usa riescono a riequilibrare il proprio disavanzo commerciale su entrambe i versanti, con un -2,27% sullo yuan ed un -10% sull’euro.
Nei confronti dell’euro, la Cina compensa la rivalutazione dello yuan sul dollaro, che rimane al traino della svalutazione del dollaro sull’euro, svalutandosi del -7,6%. Il Giappone invece ha svalutato del -15,6% nei confronti del dollaro e del -17,5% rispetto allo yuan, avendo incorporando l’effetto di rivalutazione yuan/dollaro (+2,27%), ma ha recuperato ancora di più rispetto all’euro, sommando la svalutazione dello yen sul dollaro (-15,6%) a quella del dollaro sull’euro (-10%), puntando con un complessivo -25,3% alle quotazioni pre-crisi al fine di salvaguardare la sua economia.
L’Europa si avvia così a battere un altro primato: dopo aver subito la crisi finanziaria dei sub-prime e non essere riuscita a risolvere le proprie contraddizioni, avendo rischiato il collasso dell’euro e comunque deprimendo la sua economia, ora sta sostenendo simultaneamente il riequilibrio del commercio estero americano, lo sviluppo dell’economia cinese ed il recupero di quella giapponese. Si sacrifica per il mondo intero. Grazie, Europa!