Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Pierluigi Magnaschi sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi.
Anche il cardinale Sodano, che pure è intimo del Papa, ha detto che l’annuncio delle dimissioni di papa Ratzinger, dalle ore 20 del 28 febbraio prossimo, sono state, per lui «un fulmine al ciel sereno».
Papa Ratzinger, tedesco, romano di adozione, ha preferito dare il suo annuncio in latino, la lingua che tanto ama anche perché gli consente di esprimere al meglio il suo complesso ma anche chiaro pensiero teologico e il suo amore divorante per la Chiesa universale, legata da una lingua che non esiste più e che, quindi, può essere vissuta, da tutti, come la lingua di tutti.
L’abbandono della carica di successore di Pietro è avvenuta in modo diverso fra i due ultimi grandi Papi. Papa Wojtyla è rimasto sulla cattedra di Pietro fino al suo ultimo respiro. Camminava con difficoltà, si esprimeva con fiotti, alle volte incomprensibili, di parole. Doveva essere aiutato in tutto. Si era ridotto alla minima essenza di uomo. La sua è stata la testimonianza di una dedizione assoluta alla sua missione di vicario di Cristo in terra. Non era un attaccamento al potere. Lo hanno capito tutti, anche i non credenti, che sono stati affascinati da questa macerazione voluta, da questa candela umana che si stava spegnendo ma che, fino all’ultimo, e in modo sempre più debole, mandava i suoi ultimi bagliori a beneficio di tutti, in una sorta di Calvario personale.
Papa Ratzinger era amicissimo di Papa Wojtyla, pur essendo diversissimo da lui. Il primo era carnale, fisico, avvolgente. Il secondo è distaccato, intellettuale anche se ugualmente accattivante. Il primo, potendo, lo si sarebbe voluto abbracciare. Al secondo, al massimo, si sarebbe ambito baciare l’anello.
Papa Ratzinger, nel suo totale abbandono al Cristo, ha creduto che sarebbe stato meglio, per la Chiesa, lasciare il compito di guidarla, dopo sette anni del suo pontificato e a 85 anni di età, a un successore più in forze. La sua scelta è comprensibile e nobile. Il mondo sta vivendo un momento difficilissimo, scosso da movimenti di assestamento globali, dove nulla è com’era in passato, dove tutto cambia e non si riesce nemmeno a capire come.
Ratzinger, intellettuale finissimo come pochi, è in grado di decifrare questi sommovimenti ma ha sentito di non disporre delle forze per governarlo. Ovviamente, ieri, molti media istantanei hanno chiesto chi è un «pole position» per succedere a papa Benedetto XVI.
Confesso che, sentendo questa richiesta, ho reagito come quando sentivo il gessetto graffiare la lavagna. Un senso di disagio profondo nel constatare che il mondo non è più capace di distinguere fra fenomeni molto diversi. Fra un conclave e un pit-stop.