È partita un’altra caccia all’oro. Questa volta diretta nello Spazio.
La storia dell’uomo insegna che non esistono rischi e difficoltà che possano arginare la brama dei cercatori di tesori quando si tratta di portare alla luce minerali preziosi. Ma che cosa accade se il nuovo eldorado si trova, letteralmente, fuori dai confini della Terra?
La sfida per ora si concentra sui minerali disponibili nel sottosuolo lunare ma deve affrontare le incognite legate ai costi e alle tecnologie necessarie, ostacoli che superano i confini di un convenzionale modello di business, a metà strada tra Scrooge, il capitano Flint e Jules Verne.
Pochi hanno sentito il suono esotico di nomi come yttrium, lanthanum o samarium. Eppure si tratta di minerali rarissimi sulla Terra ma sempre più impiegati per prodotti hi tech in ambito sia civile che militare. E che abbondano sulla Luna come l’elio 3, isotopo non radioattivo, estremamente raro sul nostro Pianeta, usato soprattutto nella ricerca sulla fusione nucleare.
Il suo costo proibitivo può essere aggirato solo con l’approvvigionamento attraverso riserve non facilmente esauribili. Come nel caso della Luna.
In questo scenario si sta muovendo l’Off Earth Mining Forum di Sydney, in Australia, come spiega Leonhard Bernold, professore associato di ingegneria civile alla University of New South Wales
“Dobbiamo trovare una tecnologia ‘leggera’. Non possiamo usare bulldozer e mega truck perché sono troppo pesanti, ingombranti e rendono tutta l’operazione economicamente insostenibile. Dobbiamo studiare e organizzare una modalità a basso impatto per affrontare l’attività a mineraria sulla Luna”.
Non sarà facile. Anche perché servirà una servizio regolare di shuttle dalla Terra alla Luna per trasportare equipaggiamenti e minerali. Il rischio di andare alla ricerca del senno perduto di Orlando esiste. Ma la soluzione forse verrà trovata affidandosi al genio e alla brama incoercibile di Verne, Scrooge e del capitano Flint.
(Immagini Afp)