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I dossier che hanno fatto spazientire Bertone

Chissà se Benedetto XVI quel 22 giugno 2006, giorno in cui firmò la nomina del cardinale Tarcisio Bertone a Segretario di Stato, scegliendo una persona che non proveniva dai ranghi della diplomazia pontificia, si era immaginato le possibili conseguenze di una simile, e voluta, scelta.

Anni di tensioni, diatribe in seno alla Curia, veleni: il tutto culminato nel caso di Vatileaks, ovvero il trafugamento di documenti riservati dall’appartamento papale da parte del maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele. Un gesto, quello compiuto da Gabriele, mirato, secondo le sue parole, a proteggere il Papa. Da chi? Ancora oggi non esiste una risposta chiara e precisa, ma tutto lascia presupporre che il vero destinatario di tutta l’operazione fosse proprio il Segretario di Stato Bertone. Il quale, infatti, si oppose sino all’ultimo alla concessione della grazia all’ex maggiordomo del Papa.

Le tensioni sulla Segre

Tensioni e veleni, dicevamo, che ancora oggi, alla vigilia dell’inizio della sede vacante (prevista per le ore 20 del 28 febbraio), e del conclave che dovrà eleggere il successore di Benedetto XVI sembrano riemergere in maniera piuttosto dirompente. Da qui, quindi, la dura presa di posizione della Segreteria di Stato che, con una nota senza precedenti, elaborata dal cardinale Bertone, dal sostituto Angelo Becciu, ed approvata dall’appartamento del Papa, si è scagliata contro i mezzi d’informazione, accusati di diffondere “notizie spesso non verificate e non verificabili o addirittura false” al fine di “condizionare” l’esito del futuro conclave. Con tanto di paragone coi tempi in cui erano le potenze straniere a condizionare l’elezione di un Pontefice.

Lo ius exclusivae dei sovrani cattolici

Fino al 1903, anno in cui salì al soglio di Pietro il patriarca di Venezia Giovanni Sarto, che prese il nome di Pio X, alcuni sovrani cattolici, quali i re di Francia, di Spagna e gli imperatori d’Austria, godevano del privilegio di poter impedire l’elezione a Pontefice di una determinata persona. Un potere, questo, che venne esercitato per l’ultima volta proprio nel corso del Conclave che portò all’elezione di Pio X quando, dinanzi alla possibilità che il cardinale Rampolla potesse essere eletto Papa, il cardinale di Cracovia e della corona d’Austria Jan Puzyna si alzò in piedi e pronunciò, in nome dell’imperatore Francesco Giuseppe, il veto d’esclusione contro lo stesso Rampolla, accusandolo di essere troppo filo francese.

L’usanza abolita da Pio X

Ed è proprio a tale usanza, abolita da Giovanni Sarto, nel frattempo divenuto Pio X, che sembra riferirsi la nota della Segreteria di Stato, nella quale scrive che “se in passato sono state le cosiddette potenze, cioè gli Stati, a cercare di far valere il proprio condizionamento nell’elezione del Papa, oggi si tenta di mettere in gioco il peso dell’opinione pubblica, spesso sulla base di valutazioni che non colgono l’aspetto tipicamente spirituale del momento che la Chiesa sta vivendo”. Parole pesate una ad una dai vertici della Segreteria di Stato. Ma rivolte a chi? E soprattutto, a cosa si riferiscono?

La morte del Papa entro novembre

E’ da parecchio tempo che la Santa Sede avrebbe voluto scrivere una nota di questo tenore. Molto probabilmente già da quel mese di febbraio 2012 in cui sulla stampa iniziarono a trapelare indiscrezioni relative ad un viaggio del cardinale Romeo in Cina, svoltosi nel novembre 2011. In un documento fatto pervenire al Papa dal cardinale colombiano Hoyos, si legge infatti che l’arcivescovo di Palermo Romeo avrebbe profetizzato la morte di Benedetto XVI entro il mese di novembre 2012 e l’elezione del cardinale milanese Angelo Scola quale nuovo Papa. Rivelazioni, quelle di Romeo, che avrebbero portato le persone presenti all’incontro ad ipotizzare l’esistenza di un complotto per uccidere Benedetto XVI. Una vicenda, quest’ultima, ricostruita minuziosamente da Il Fatto Quotidiano e che portò padre Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, a dichiarare: “talmente incredibile che non si può commentare”. Significativa una precisazione che veniva fatta dall’autore dell’articolo: “Un complotto inserito nel documento all’interno di un’analisi inquietante delle divisioni interne alla Chiesa che vedono contrapposti il Papa ed il Segretario di Stato Tarcisio Bertone alla vigilia di una presunta successione”.

Le tensioni tra Bertone e Sodano

Che con l’avvicinarsi del Conclave inizi, da parte dei giornalisti, la caccia al possibile nuovo Papa è cosa abbastanza normale. Un esercizio giornalistico, soprattutto, che avviene da sempre e che ultimamente, forse con qualche esagerazione, ha visto il coinvolgimento dei bookmaker inglesi. Ciò che invece non deve essere piaciuto negli uffici della Terza Loggia, ed in particolare al Segretario di Stato, Bertone, è la ricostruzione, che viene fatta da tutti i giornali, di una Chiesa, e un Conclave, diviso tra i fedelissimi del decano, nonché ex Segretario di Stato, Angelo Sodano e quelli di Bertone stesso.

La Chiesa spaccata in due

Descrizioni dalle quali emergerebbe una Chiesa spaccata in due, come dimostra l’articolo scritto da Aldo Cazzullo qualche giorno fa sul Corriere della Sera e intitolato “Il decano e il camerlengo. Le due Chiese di Sodano e Bertone”. Secondo le ricostruzioni giornalistiche, infatti, Sodano non avrebbe mai “digerito” la decisione di Bertone di allontanare alcune delle persone molto vicine all’ex Segretario: dal cardinale Castrillon Hoyos a Leonardo Sandri passando per il cardinale Giovanni Battista Re. Contrasti, poi, che si sarebbero acuiti con le recenti nomine allo Ior, avvenute proprio nel periodo finale del pontificato di Benedetto XVI. Non è un mistero, infatti, che il decano Angelo Sodano riteneva opportuno attendere l’esito del conclave per individuare il nuovo presidente della Banca vaticana. Ma forse, dicono i maligni, Bertone potrebbe non avere apprezzato quanto ricordato proprio da Cazzullo nell’articolo citato: “I piemontesi non diventano Papi, nessuno in duemila anni”.

Lo scandalo della pedofilia

La lotta alla pedofilia ha rappresentato uno dei fili conduttori del pontificato di Benedetto XVI. E’ a Papa Ratzinger, infatti, che si deve la riforma di quel corpo normativo volto a prevenire e reprimere la pedofilia all’interno della Chiesa. Lo stesso Benedetto XVI ha più volte chiesto scusa alle vittime di abusi da parte di ecclesiastici, arrivando addirittura ad incontrarne alcune nel corso dei propri viaggi all’estero.

La campagna mediatica contro Mahony

Ma ecco che, con l’avvicinarsi del conclave, lo scandalo della pedofilia sembra riemergere sui giornali con tempistiche alquanto sospette. Una vera e propria campagna mediatica sembra essere portata avanti nei confronti dell’ex arcivescovo di Los Angeles Mahony, accusato di avere coperto, in passato, decine di casi di pedofilia nella sua diocesi. In Italia, addirittura, il settimanale cattolico Famiglia Cristiana ha lanciato una sorta di petizione, simile a quella in atto da giorni negli Stati Uniti, affinché il cardinale Mahony si autoescluda dalla partecipazione al conclave e, quindi, dalla scelta del nuovo Papa. Voci che, addirittura, secondo molti arrivano anche da alcuni cardinali che mal vedrebbero una sua partecipazione al conclave.

Le accuse a Dolan

Ma non ci si ferma qui. Ad essere messo sul banco degli imputati è, infatti, anche l’arcivescovo di Washington Timothy Dolan, considerato uno dei “papabili”. Grande evidenza, infatti, viene data al fatto che il cardinale Dolan sia stato convocato poco prima del conclave a testimoniare in un procedimento per abusi, gettando così ombra su uno dei candidati forti per la successione a Benedetto XVI. Voci che hanno quindi portato numerosi osservatori a concludere che il dossier della pedofilia avrà un peso molto forte nella scelta del nuovo pontefice e non solo, come scrive Massimo Gaggi sul Corriere della Sera, “per quanto successo al di là dell’Atlantico”. Ma non sono solo i cardinali americani ad essere sotto assedio. Ritornano sotto la luce dei media le vicende relative al cardinale belga Danneels, fuori dai giochi per l’elezione a Papa ma sicuramente uno dei cosiddetti kingmaker, e al cardinale irlandese Brady.

La nomina di monsignor Balestrero

Quarantasei anni, monsignor Balestrero, ligure, è considerato da tempo come “l’astro nascente” della diplomazia pontificia. Attraverso le sue mani sono passati, nel tempo, i dossier più delicati: dalle trattative con Israele e Palestina a quelle con la Cina. E’ stato Balestrero, inoltre, a guidare la delegazione vaticana che ha partecipato all’assemblea di Moneyval, l’organismo del Consiglio d’Europa incaricato di vigilare sulla normativa antiriciclaggio. Non poco stupore e, quindi, numerose dietrologie ha causato la recentissima nomina di Balestrero a nunzio in Colombia. Che la Colombia sia un Paese chiave nell’America Latina per la Chiesa cattolica nessuno lo ha voluto mettere in dubbio, tanto che, giustamente, si è parlato sin da subito di una promozione. Ma, aggiungono molti osservatori, nell’ambito del famoso “promoveatur ut amoveatur”. Il nome di Balestrero, infatti, è comparso in alcune inchieste giornalistiche relative allo Ior ed è stato quindi interpretato come un allontanamento da quella Curia romana che tante tensioni ha provocato negli ultimi tempi. Significativo, in tal senso, un articolo pubblicato sul Corriere della Sera dal vaticanista Gian Guido Vecchi dal titolo: “Dietro la scelta un messaggio alla Curia italiana”. Secondo Vecchi, infatti, Balestrero è uno stretto collaboratore di Bertone ma, al contempo, è legato anche al cardinale Piacenza, uno dei “papabili” nonché vertice “della parte genovese o ligure nella Curia cui faceva riferimento anche quel Marco Simeon che ha lasciato di recente la direzione di Rai Vaticano”. Non c’è dubbio che i cardinali italiani, ed in particolare anche i cardinali liguri, tra i quali Bagnasco, giocheranno un ruolo importante negli incontri che precederanno il conclave ma, come scrive Vecchi, “i veleni degli ultimi anni non saranno smaltiti presto. Sono vicende considerate dai cardinali del resto del mondo come tutte italiane, una percezione che i papabili italiani rischiano di scontare”.

La madre di tutti i dossier

Ma è forse quella che viene chiamata la “madre” di tutti i dossier, ovvero il rapporto top-secret consegnato al Papa dalla Commissione d’inchiesta cardinalizia sul caso Vatileaks e guidata dal cardinale dell’Opus Dei Julian Herranz ad aver fatto perdere la pazienza a chi occupa la Terza Loggia. Un’inchiesta di Panorama, ad opera del vaticanista Ignazio Ingrao, poi “ripresa” ed ampliata da Repubblica, ha svelato il contenuto del dossier di circa trecento pagine elaborato dai tre cardinali incaricati. Da questa ricostruzione, quindi, emerge, come scrive Ingrao “una particolareggiata fotografia ai raggi x della curia romana che non risparmia neppure i collaboratori del Pontefice, ovvero una complessa ed intricata rete di rapporti personali, filiere di interessi e cordate non di rado cementate da rapporti inconfessabili”.

I contenuti del dossier

Si va quindi dall’attivismo di alcuni porporati per favorire o bloccare le carriere all’interno della Curia alla filiera di interessi economici, ovvero “autentiche lobby in grado di condizionare, anche grazie ad ingenti risorse, persino alcune scelte e decisioni in seno ai Sacri Palazzi”. Ma, soprattutto, un’inchiesta, quella dei tre cardinali, che ha portato alla luce una vera e propria “rete di amicizie e di ricatti a sfondo omosessuale che è molto presente in alcuni settori della Curia”. Secondo Ingrao, infatti, si parlerebbe addirittura di una vera e propria “lobby gay”. Ed è a questo punto che la Segreteria di Stato, ed in primis il cardinale Bertone, hanno detto basta.


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