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I risultati delle elezioni 2013 sono paragonabili al ’92?

Le elezioni del 24-25 febbraio 2013 saranno probabilmente ricordate per la portata sistemica della “scossa”, paragonabile certamente a quella del 5 aprile 1992.

In entrambi i casi un partito di sconosciuti (“barbari” estranei al coté politico-parlamentare tradizionale) si è imposto con una valanga di voti, seggi e parlamentari.

In entrambi i casi un assetto (il pentapartito nel 1992, il bipolarismo nel 2013) sembra entrato in crisi finale.

Si è tornati a quello che per lunghissimo tempo è stato il vero sistema effettivo del mondo politico italiano, imperniato su tre grandi partiti (Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito comunista) e un quarto partito variamente collocato come “laico” e formato da Pri, Pli e Psdi.

L’assetto quadri-polare ha dunque ancora oggi rappresentazione con una formazione conservatrice (Pdl e alleati), una progressista-socialista (Pd e alleati), una radicalista (Movimento cinque stelle) e una liberal-moderata (Scelta civica per Monti).

M5s come l’ultimo Pci

Niente di nuovo sotto il sole mediterraneo, dunque, tanto che davvero il Movimento di Grillo può essere considerato l’erede dell’ultimo Pci (Berlinguer-Ochetto) attento alla questione morale, alla semplificazione del rapporto domanda-offerta politica, all’ecologismo, ai diritti civili e al pacifismo.

Pd bersaniano come il Psi

Non sorprende che queste affinità elettive siano state colte dalla sinistra di Vendola, che corrisponde in questo schema alla costola sinistra di un Psi oggi incarnato dal Partito democratico di Bersani (socialista, nazionale, europeista e occidentalista, seguendo Mitterand, Nenni e Craxi).

La natura di Sel simile a quella della Rete

Sel è in realtà vicina come radicamento (nelle grandi città, nel Meridione e negli strati intellettuali) a quella che fu nel 1992 la Rete del palermitano Orlando e del torinese Novelli.

Differenze e analogie con il 1992

Ma vi sono oggi alcune complicazioni. Nel 1992 Rete e Lega potevano giocare su un campo abbastanza libero dal punto di vista internazionale, senza il condizionamento indiretto sovietico e con un’Europa ancora in fieri, nascente e fragile. Oggi Bruxelles, per quanto indebolita dalla lunga crisi, è però un attore fondamentale e un asse portante degli equilibri globali.

L’anti europeismo del movimento di Grillo

Il fatto che il Movimento 5 Stelle metta in risalto i limiti (tecnicismo, rigore, elitarismo) della costruzione europea rientra dunque da una parte nella traccia di “contestazione” radicale e dal basso del potere (in questo comportandosi da erede del Pci), ma dall’altra mette sotto pressione la classe dirigente nazionale abituata a pensare in termini spesso di europeismo passivo e di obbedienza.

Le sfide

Uno dei possibili snodi della crisi politica attuale dipenderà dalla capacità delle frazioni conservatrici, socialiste e liberali della classe dirigente di interpretare il movimento come domanda trasformativa dell’Europa – non sfida inconcludente e retorica, non nostalgico nazionalismo – ma per esempio articolazione di una “big society continentale” coerente con un ridisegno delle istituzioni sovranazionali più policentriche e aperte alla società civile.

La differenza certa
Nell’analogia, una differenza è certa. Dopo le elezioni del 1992 ci fu un breve interregno gestito in pratica da centri non istituzionali, tra cui influenti gruppi mediatici, sulla scorta di campagne scandalistiche e moralistiche. Non potrà essere così questa volta. La tentazione massimalista dell’azzeramento politico in questo caso non vorrebbe dire solo suicidio dell’Italia ma anche danno irreversibile all’Europa. Per fortuna nessuno, nemmeno i grillini, dice di volere questo esito.

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