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Ecco tutti gli stupidi vincoli europei che Grillo dimentica

Facile parlare di reddito di cittadinanza, di abolizione dell’Imu, di riduzione dell’Irap e di aumento degli ammortizzatori sociali. Facile promettere senza indicare le coperture finanziarie per nuove spese o di diminuzione di imposte. Certo si può pensare di abolire o ridurre il finanziamento pubblico ai partiti o di cassare gli acquisti di F-35, ma forse servono annunci più ponderati e meno populistici, specie dopo le elezioni.

Ma quello che purtroppo si deve osservare, anche nel dibattito post elezioni, è l’assenza del quadro europeo da cui non si può prescindere, anche da parte di chi ha sostenuto che l’austerità imposta da Bruxelles e Berlino sta solo peggiorando le condizioni economiche degli Stati. Ecco di seguito il quadro dei vincoli, degli obblighi e delle sfide che arrivano dalla Commissione europea.

I vincoli esterni

Nel dibattito politico sulle misure che potrebbero essere proposte dal prossimo governo, o che sarebbero necessarie per farlo nascere, si parla poco delle compatibilità europee e del famoso “vincolo esterno” costituito dagli impegni sottoscritti dall’Italia come membro dell’Ue e dell’Eurozona. Eppure, da aprile comincerà un percorso a tappe obbligate che comporterà decisioni e risposte, attese da Bruxelles, dagli altri partner comunitari e anche dalla Bce, a cui l’Italia non potrà sottrarsi, e che solo in parte potrebbero venire da un un governo in carica solo per gli affari correnti, qual è oggi il governo Monti.

Le previsioni specifiche

E’ un percorso che prevede la discussione comune a Bruxelles della tenuta di bilancio e delle politiche economiche dell’Italia (come di qualunque altro Stato membro dell’Eurozona), con il Semestre europeo e con le raccomandazioni specifiche per Paese (“Country-specific Recommendations”, Csr) che saranno proposte dalla Commissione e approvate dal Consiglio Ecofin prima della pausa estiva.

Rispettare il Fiscal Compact per usufruire dei piani Bce

Va ricordato che, oltre al rafforzamento del Patto di stabilità operato nel 2011 con il cosiddetto Six Pack (poi in gran parte ripreso dal trattato Fiscal Compact), che prevede sanzioni più facili e procedure “semi-automatiche” per i Paesi inadempienti, il rispetto degli impegni presi a Bruxelles con questo complesso di procedure è essenziale soprattutto per l’Italia e la Spagna per poter usufruire dello “Scudo anti-spread” della Bce (l’acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario) in caso di attacchi da parte dei mercati, come quelli sperimentati nell’estate-autunno 2011 che portarono alla caduta del governo Berlusconi.

I dati Ue ed Eurostat su deficit e debito

In aprile inoltre, come ha ricordato la Commissione europea venerdì scorso, Eurostat (l’Ufficio statistico dell’Ue) fornirà i dati definitivi sui conti pubblici nei Ventisette, e si vedrà se saranno confermate le previsioni economiche di febbraio dell’Esecutivo comunitario, che per l’Italia prevedono un altro anno di recessione nel 2013 (Pil -1%) dopo un 2012 disastroso (-2,2%). A parte la crescita, prevista in debole ripresa solo nel 2014 (+0,8%), e i nuovi record attesi purtroppo per la disoccupazione, i dati sui conti pubblici sono piuttosto positivi: confermano per quest’anno un bilancio “ampiamente in pareggio in termini strutturali”, e comunque sotto la barra del 3% del Pil in termini nominali (-2,1%), dopo aver raggiunto già nel 2012 quota -2,9%.

La possibilità italiana di scampare alle sanzioni per deficit eccessivo

Se questi dati verranno convalidati dall’Eurostat, e dalle successive previsioni economiche di primavera che la Commissione pubblicherà a maggio, Bruxelles proporrà l’uscita dell’Italia dalla “procedura per deficit eccessivo”, che, è bene ricordarlo, fa riferimento al parametro sul deficit non superiore al 3% previsto dal trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità, e non all’impegno preso unilateralmente dall’Italia (e mantenuto, per ora) di conseguire il pareggio strutturale di bilancio quest’anno.

Il debito in continuo aumento

Qualche problema, semmai, potrebbe venire dal debito pubblico, che avrebbe dovuto ricominciare a scendere da quest’anno, e che è previsto invece tocchi il picco del 128,1% sul Pil, prima di tornare al 127,1 nel 2014. In questo caso, c’è un nesso diretto con la recessione prolungata, che fa aumentare automaticamente il rapporto debito/Pil, come conseguenza della crescita negativa, ossia della riduzione del denominatore.

Il rigore italiano eccessvo anche per Bruxelles

Fortunatamente, il taglio di un ventesimo all’anno della differenza fra il rapporto debito/Pil e il valore di riferimento del 60%, previsto dal Six Pack e dal Fiscal Compact dovrà essere applicato solo a partire dal 2015. Il nuovo governo, insomma, dovrebbe avere ancora un breve margine per cercare di far ripartire la crescita, prima di dover applicare la mannaia del taglio del debito a ritmi forzati.
In Italia e a Bruxelles è già cominciato, anche se dietro le quinte, il dibattito se l’Italia, che ha anticipato il pareggio di bilancio strutturale al 2013, rispetto al 2014 inizialmente previsto, non abbia ecceduto nello zelo “rigorista” e se non sia ora il caso di chiedere e concedere qualche margine in più, pur restando sotto la barra del 3% nel rapporto defict/Pil.

I casi di Madrid e Parigi

In effetti, la Spagna ha già ottenuto il rinvio del conseguimento al 2014 non del pareggio strutturale, ma dell’obiettivo di ridurre il deficit sotto il 3% del Pil (è previsto al 6,7% quest’anno e al 7,2 nel 2014, ma senza tenere conto degli effetti dell’onerosa ricapitalizzazione delle banche, valutati a oltre 3 punti percentuali), mentre Parigi, ha già avviato il negoziato con Bruxelles per ottenere una proroga dei propri obiettivi, non raggiunti a causa della crisi. Il deficit della Francia, che nel 2012 era al 4,6% del Pil, quest’anno sarà ancora al 3,7 e senza nuove misure tornerà a salire al 3,9 nel 2014.

I timori sulla sostenibilità finanziaria italiana

L’Italia, tuttavia, a differenza della Francia e della Spagna, ha il problema del suo enorme debito pubblico, vicino ormai al 130% del Pil. Non può reggere il confronto con le cifre di Parigi e Madrid, attorno al 90%, pur se in rapida salita. Per l’Italia, il dato a cui Bruxelles e i mercati guardano con sempre maggiore attenzione è quello della sostenibilità finanziaria, fornito inequivocabilmente dall’avanzo primario (il bilancio al netto degli interessi pagati per il debito pubblico). Anche qui, le previsioni della Commissione sono positive: le dure manovre finanziarie del 2011-2012 hanno portato l’avanzo primario a quota 2,6% del Pil nel 2012 e a un rimarchevole 5% quest’anno. Ma, temono a Bruxelles, se si abbandonasse anche solo temporaneamente la stella polare del pareggio strutturale, questo margine si ridurrebbe e così anche la sostenibilità del percorso di rientro dal debito eccessivo e la credibilità dell’Italia sui mercati.

Le critiche degli economisti all’austerità europea

In realtà, la diga di Bruxelles costruita con le politiche rigoriste e con il dogmatismo tedesco contro il ‘deficit spending’ comincia a sgretolarsi di fronte alle critiche, a volte feroci, di quasi tutti gli economisti (persino di quelli dell’Fmi) nel dibattito internazionale contro il nonsenso delle politiche d’austerità imposte in tempi di recessione.

Il riferimento ai dati strutturali

La Commissione ha già ammesso che, per quanto riguarda gli obiettivi di medio termine previsti dal ‘Six Pack’ (rapporto deficit/Pil sotto l’1%) e dal ‘Fiscal Compact’ (lo stesso obiettivo, ma portato allo 0,5% per i Paesi con debito superiore al 60% rispetto al Pil), i dati su cui vanno giudicati i bilanci dei Paesi non sono quelli nominali, ma quelli ‘strutturali’, al netto non solo delle misure ‘una tantum’, ma anche e soprattutto degli effetti della crisi. Con il caso spagnolo e forse, in futuro, con quello francese, Bruxelles applicherebbe la stessa logica alle ‘procedure per deficit eccessivi’, finora rigidamente ancorate al criterio del deficit da riportare sotto il 3% in termini nominali.

Più margine di manovra contro la crisi

Ma non si tratta solo di diminuire il rigore e introdurre più flessibilità nelle interpretazioni di Bruxelles, per avere più margine di manovra contro la crisi. Nel dibattito in Italia, andrebbero individuate quelle misure che la stessa Commissione, o il Consiglio Ecofin, hanno chiesto al Paese di realizzare, in particolare con le ‘Country-specific Recommandations’.

Le proposte (welfaristiche) per la crescita

Ecco un elenco, non esaustivo, di misure che potrebbero difficilmente trovare un’opposizione a Bruxelles, visto che proprio l’Ue le ha richieste: aumentare la spesa pubblica per i servizi sociali (asili nido e case di riposo) che possa agevolare il lavoro delle donne; continuare a migliorare, soprattutto al Sud, il livello di assorbimento dei Fondi strutturali e di coesione dell’Ue (come ha fatto benissimo nell’ultimo anno il ministro Fabrizio Barca); lottare contro la disoccupazione giovanile incentivando le imprese ‘start-up’ e l’assunzione di lavoratori; investire di più nell’istruzione; creare un sistema integrato e generalizzato per i sussidi di disoccupazione; continuare la lotta all’evasione fiscale aumentando i controlli; ridurre o abolire le molte esenzioni e agevolazioni previste dalla fiscalità diretta e indiretta; alleviare la pressione fiscale sul lavoro, spostandola su proprietà, consumi e attività inquinanti o clima-alteranti; investire nelle capacità e interconnessioni delle industrie di rete (Tlc, energia, trasporti), ad esempio generalizzando la banda larga. E naturalmente, come chiede la legislazione Ue, investire nell’efficienza energetica (negli edifici, nella produzione, nei trasporti) e nelle energie rinnovabili, e applicare con rigore la direttiva contro il ritardo dei pagamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni (già recepita in Italia) che impone una scadenza di 30 giorni.

La Golden Rule sugli investimenti

Quello che manca ancora, da parte della Commissione e dei Paesi cosiddetti “creditori” dell’Ue, è il riconoscimento che i rapporti deficit/Pil e debito/Pil possono diminuire – secondo molti economisti in modo ben più efficace che con i tagli di bilancio – con un aumento della crescita indotto da massicci investimenti pubblici; che non andrebbero quindi penalizzati, ma, anzi, considerati a parte nel computo del deficit, proprio come l’Esecutivo comunitario ha cominciato a fare, ad esempio, con tutt’altra categoria di spesa: i finanziamenti di Madrid alla ricapitalizzazione delle banche spagnole. Tutte le forze politiche rappresentate nel nuovo Parlamento sarebbero d’accordo su questo punto, compresi i centristi di Monti, il quale ha sempre sostenuto (finora senza successo) la Golden Rule degli investimenti pubblici fuori dal computo del deficit, fin dalla creazione, negli anni ’90, del Patto di Stabilità.



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