Quello che si aggira per l’Europa non è solo un fantasma. Il malcontento degli Stati membri sembra essersi trasformato in opposizione alle politiche di austerity elogiate e accarezzate da Bruxelles. Che, d’altra parte, è costretta a far buon viso a cattivo gioco, mostrando qualche spiraglio di apertura rispetto agli sforamenti su deficit e debito e sulla tempistica prevista per il rientro. Fino ad oggi Grecia e Portogallo erano rimaste isolate nei loro appelli disperati, ma oggi trovano spalla negli altri Stati membri, anche in quelli che sono stati a guardia del rigore propugnato dalla Germania. La carica è pronta, forse anche inarrestabile.
Il peggioramento della recessione in Europa a febbraio
I dati infiammano la protesta. Nuovi peggioramenti della recessione tra le imprese dell’area euro si registrano a febbraio, anche se il calo dell’indice tra i responsabili degli approvvigionamenti, a 47,9 punti dai 48,6 punti di gennaio, si è rivelato lievemente meno acuto di quello indicato nella stima preliminare, a 47,3 punti. Questo grazie soprattutto a una flessione meno accentuata delle stime tra le imprese del terziario, secondo i dati pubblicati oggi dalla società di ricerche Markit Economics. I valori restano comunque inferiori ai 50 punti, che in questo tipo di indagini sono la soglia limite tra crescita e calo dell’attività.
Le scadenze europee per l’Italia
Ma l’Italia, alle prese con un post-voto tutto da decidere, deve sedersi e pensare agli appuntamenti europei che l’aspettano. In base alla legge, il 10 aprile il governo dovrebbe approvare il prossimo Documento di programmazione economica e finanziaria. A fine aprile dovrebbe quindi mandare a Bruxelles un piano di Stabilità perché la Commissione europea e agli altri governi lo valutino. “Sono entrambi piani sui quali il lavoro dovrebbe essere già iniziato: si tratta documenti di decine di pagine, pieni di dati e tabelle per dare un indirizzo alla politica economica almeno sui prossimi tre o quattro anni”, spiega Federico Fubini del Corriere della Sera.
La tempistica per il Def
L’Europa entro il 30 di aprile attende il Def, il Documento di economia e finanza previsto dalle nuove regole che anticipano il perimetro delle scelte politiche in materia di sviluppo e di conti pubblici. “L’anno scorso – sottolinea Roberto Bagnoli sul Corriere – il governo in questo periodo era già sotto stress. Adesso in via XX Settembre è tutto fermo. Il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via (ex Banca mondiale) non ha smesso di preparare simulazioni e scenari ma ormai è chiaro che la palla per il Def 2013 passerà al prossimo governo”.
I vertici Ue e Bce
Le scadenze sono comunque serrate e “tutte in chiave europea: giovedì Mario Draghi presiederà la riunione della Bce durante la quale non è escluso si torni a discutere della situazione dell’Italia; settimana prossima, 14-15 marzo, si terrà un vertice Ue per valutare i progressi degli Stati membri sul cammino delle riforme e il 30 di aprile l’invio del Def da parte di Roma. L’impalcatura del nostro dossier economico è legata a doppio filo alla velocità delle soluzioni politiche e a quella dello spread con i Bund tedeschi”, sottolinea Bagnoli.
L’incognita governo
Ma, come evidenzia Fubini, ad oggi nessuno sa dire se le scadenze saranno rispettate. “Potrebbe occuparsene l’esecutivo attuale, nel caso in cui sia ancora in carica per gli affari correnti tra qualche settimana. Probabile però che i ministri e il premier uscenti non abbiano intenzione di vincolare il Paese su impegni che riguardano un futuro in cui loro non saranno al timone. Dunque in mancanza di una soluzione politica, dal prossimo mese una mano sul timone non ci sarà. Uno Stato debitore di duemila miliardi di euro, in recessione da quasi due anni, starà navigando ufficialmente a vista”.
Il confronto con Madrid
Ciò che preoccupa gli investitori è che “gli ultimi giorni non hanno mostrato gli stessi timidi segni di stabilizzazione che invece si vedono in Spagna. Il deficit pubblico a Roma è più basso di quello di Madrid, ma ai dati sul 2012 quello italiano è più alto delle attese (al 3% del Pil) mentre il secondo ha sorpreso al ribasso (6,7%). Tendenze simili si vedono anche sulla disoccupazione, che in Spagna in questi ultimi mesi sale più lentamente di prima mentre in Italia continua ad crescere a gran ritmo. In parte anche per questo, non solo per l’impatto delle elezioni, nell’ultimo mese i due Paesi mediterranei hanno preso strade diverse. La Spagna ha ridotto lo spread fra i suoi titoli decennali e i Bund tedeschi e dopo i primi giorni ha anche evitato il contagio italiano del dopo-voto: oggi lo spread di Madrid è di circa 40 punti più basso di un mese fa. Per l’Italia è successo il contrario: lo spread sui Bund è salito di oltre 40 punti. Oggi i Btp italiani rendono appena 24 punti(0,24%) meno degli iberici”.
Cambio di rotta a Bruxelles?
Da mesi la Commissione e l’Eurogruppo dei ministri finanziari non esigono più dai Paesi in crisi troppa austerità, che li affonderebbe nella recessione. Il segnale è stato il silenzio-assenso sul deficit di Madrid al 6,7% del Pil. Ma, vista da Berlino o da Bruxelles, resta l’urgenza di un piano per rendere meno sclerotica l’intera economia italiana. Non appena potrà mettersi al lavoro, il prossimo governo italiano dovrà dunque fare i conti con ciò che gli verrà chiesto e ciò che potrà chiedere in Europa.
Le potenzialità della domanda interna europea
Se l’Italia sarà credibile nella propria azione di riforma, un “se” determinante, allora potrebbe a sua volta esercitare una pressione su Berlino. Non tanto per un allentamento del rigore di bilancio in Italia ma, piuttosto, per ottenere più sostegno alla crescita e all’export del resto d’Europa. Lo spazio c’è. La Germania consuma e compra dall’estero molto meno di quanto potrebbe in base al suo accumulo di risparmio e molto meno di quanto dovrebbe in un sistema finanziario internazionale equilibrato. Non solo: il surplus delle partite correnti dei Paesi di lingua tedesca, più gli scandinavi e l’Olanda, ha oggi raggiunto la colossale cifra di 500 miliardi di dollari l’anno. C’è dunque lo spazio perché l’Italia chieda qualcosa a Angela Merkel, magari assieme a Francia e Spagna. A patto che, ovviamente, a Roma prima o poi si trovi un governo capace di fare la sua parte.
La fatica irlandese
Sul piano del risanamento, “grazie a budget costati 27 miliardi di sacrifici in sei anni, il Paese ha compiuto passi avanti innegabili: il deficit è calato dal 30,9% del Pil nel 2010 al 7,7% l’anno scorso e l’obiettivo è portarlo ora al 2,9% nel 2015. La crescita, seppur modesta, è ripartita grazie all’export con un +0,7% nel 2012 e previsioni per un’accelerazione quest’anno e nel 2014 (+1,1% e +2,2%)”, spiega Michele Pignatelli sul Sole 24 Ore. Il capo dell’Eurogruppo, Dijsselbloem, ha dichiarato che la possibile estensione dei termini per il piano portoghese ed irlandese sarà discussa oggi durante la riunione dell’Ecofin.
La grossa incognita rimane il lavoro. “Il governo – prosegue – ne ha fatto una priorità europea e ha appena varato un piano di stimoli, ma la disoccupazione, sebbene in lieve miglioramento, è al 14,1%, quella giovanile attorno al 30%. La sintesi dei timori che agitano l’Irlanda, allievo modello dell’Europa post-crisi, è nelle parole del laburista Howlin, ministro per la Spesa pubblica: ‘Se l’austerity non verrà bilanciata da lavoro e misure per la crescita, distruggerà il centro politico in Europa“, conclude.
L’insofferenza di Amsterdam
Ma i segnali anti-austerity arrivano anche dalla spalla destra della Germania ed esempio del virtuosismo economico, l’Olanda. “Con soli quattro mesi di vita alle spalle, il governo liberal-laburista di Mark Rutte traballa di fronte al no dei sindacati a nuovi tagli per 4 miliardi oltre ai 16 già varati in autunno. Risultato: il rigore in Olanda sarà rimandato al 2014, come in Francia”, commenta Adriana Cerretelli sul Sole.
“Gli olandesi, vecchi mercanti pragmatici, si sono arresi all’evidenza: quando è troppo e a senso unico, il rigore fa male perché avvelena i pozzi della crescita”, conclude.