Sul piano istituzionale, si sono ascoltate in questi giorni ogni sorta di fantasie. Per chi ha l’età di ricordarselo, pare di essere tornati indietro di trent’anni, ai mandati esplorativi e ai governi del presidente, in quanto distinti dai governi tecnici, dai governi istituzionali, dai governi di scopo e via specificando. Si è parlato di una mandato a termine o di una prorogatio di Napolitano; della possibilità che si insedi un governo senza aver avuto la fiducia da entrambe le Camere; della possibilità che il governo Monti rimanga in carica per il solo disbrigo degli affari correnti (leggasi, cosucce come politica economica, interlocuzione con l’Ue, legge di bilancio, eccetera) mentre nel frattempo il parlamento per conto suo si occuperebbe di produrre norme “anti casta”.
L’elenco è certamente incompleto. La verità, di nuovo, è che se non si vuole uscire dalla Costituzione occorre che si formi – se c’è – una maggioranza per votare la fiducia al governo e un’altra (o la stessa) per eleggere un Presidente della repubblica. Come nel gioco dell’oca, torniamo alla casella precedente. C’è una simile maggioranza?
Sui mercati finanziari, nel frattempo, pare essersi stabilita una temporanea tregua. Forse perché si ritiene che i conti italiani siano almeno per un altro po’ di tempo in sicurezza, dopo le manovre del governo Monti; o perché si ha fiducia nel fatto che una soluzione alla fine verrà fuori; o infine perché si ritiene che a seguito del risultato politico italiano l’Europa si metterà paura del contagio e modificherà le politiche di rigore. Forse per una di queste ragioni, forse per nessuna di queste. Ma, di nuovo, non c’è da attendersi che la quiete duri.
E allora? Non intendiamo aggiungere congetture a congetture, retroscena a retroscena. Sarà Matteo Renzi a salvare l’Italia, sarà Corrado Passera, sarà Beppe Grillo, sarà Giorgio Napolitano? Non sarà nessuno di questi, o saranno tutti, e noi con loro. Attraverso quale strada? Azzardiamo un pronostico.
Prima ipotesi. Si costituisce un governo in qualche forma appoggiato da Pd e Pdl: e questo governo per non farsi travolgere dovrà fare qualcosa per sostenere il ciclo economico (ed è perciò che avrà bisogno di una condivisione europea) e qualcosa per tagliare il costo della politica, e dell’apparato pubblico in generale (e per questo avrà bisogno della non ostilità di Beppe Grillo). Il governo si dà un anno di tempo, e nella primavera del 2014, in coincidenza con le elezioni europee, si torna a votare.
Seconda ipotesi. Non c’è modo che un governo si formi. Il parlamento elegge un presidente che come primo atto scioglie le Camere. Si torna a votare a giugno, senza aver cambiato la legge elettorale, ma con un’offerta politica notevolmente modificata rispetto ad oggi. Niente lista di centro, per dirne una; la Lega Nord che a questo punto potrebbe davvero decidere di passare la mano e non presentarsi alle elezioni; una coalizione di centro-sinistra guidata da un leader che non sarà certo Bersani, e potrebbe, ma non è detto, essere Renzi; un centro-destra invece ancora guidato da Berlusconi, se le sue vicende giudiziarie non avranno in un modo o nell’altro messo un punto alle sue ambizioni politiche.
Terza ipotesi. Una qualche forzatura costituzionale, che consenta di prolungare la melina.
Alla prima ipotesi ostano il risultato in sé delle elezioni, e il fatto che quelli stessi che hanno creato questa situazione ingestibile dovrebbero miracolosamente scoprirsi capaci di sbrogliare la matassa. Alla seconda, il dato che andare a votare è un rischio per tutti, compreso Beppe Grillo che come si vede ha già il suo daffare a digerire un consenso del 25 per cento, e non è detto sia pronto a prendersi la maggioranza relativa. Alla terza fa da ostacolo, fin tanto che c’è, il presidente Napolitano.
Mettiamoci dei numeri di probabilità. 20 per cento che un governo si formi, 60 che si torni a votare a giugno e 20 che si trovi la soluzione per la melina.
(sintesi di un’analisi più ampia pubblicata sul sito del Centro Einaudi)