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Ecco gli sconfitti del Conclave

C’è un detto, in Vaticano, al quale pensano tutti i cardinali poco prima di entrare in conclave, soprattutto quelli che secondo i giornali rientrano nella categoria dei papabili. “Chi entra Papa in conclave, ne esce cardinale”.

Così non era stato in occasione del precedente conclave del 2005, quando l’allora cardinale Joseph Ratzinger era il grande favorito. Lo si capì già dalla omelia tenuta in occasione della messa per l’elezione del Romano Pontefice, che rappresentò un vero e proprio programma di pontificato. Così è stato, invece, in questo conclave chiamato a scegliere il successore di Benedetto XVI. Nessuno, infatti, aveva messo il cardinale argentino Bergoglio tra i favoriti. I nomi, anche persino quelli dei bookmakers inglesi, erano altri (l’elezione di Bergoglio era quotata 41 a 1). Ma chi sono quindi gli “sconfitti” di questo Conclave?

Angelo Scola, il grande sconfitto
E’ soprattutto per lui che vale l’antico detto “Chi entra Papa in conclave, ne esce cardinale”. L’arcivescovo di Milano era il grande favorito della vigilia, colui sul quale si sapeva che sarebbero confluiti i voti di una buona parte di porporati almeno nei primi scrutini. Secondo alcuni quotidiani, ad esempio, il cardinale Scola avrebbe ottenuto nel corso delle prime votazioni circa 50 voti (Il Corriere della Sera), secondo altri sarebbe rimasto tra i 35 ed i 40 (La Repubblica). E’ probabile, però, che sin da subito Scola abbia capito che la sua strada verso il pontificato non sarebbe stata così liscia come alcuni giornali l’avevano dipinta. Secondo il vaticanista de La Stampa Giacomo Galeazzi, infatti, “pochi istanti dopo l’extra omnes e l’ingresso in Sistina, a sorpresa Bergoglio ha ottenuto subito il maggior numero di voti, che però al primo scrutinio erano troppo sparpagliati”. E che Scola fosse il “papabile” per definizione lo dimostra anche il comunicato stampa diffuso dalla Conferenza episcopale italiana poco dopo l’elezione di Bergoglio. In questo comunicato, infatti, l’organo che riunisce tutti i vescovi italiani si è complimentato per l’elezione del “cardinale Angelo Scola a successore di Pietro”.

Cosa è mancato a Scola per diventare Papa
Non che il cardinale di Milano, ovviamente, non abbia dei sostenitori. E’ considerato da molti come l’uomo del dialogo, e specialmente del dialogo interreligioso. Una qualità, quest’ultima, che sarebbe servita senza dubbio alla Chiesa di oggi. Ma sono tanti, però, i “colleghi” porporati che denotano una certa insofferenza nei confronti del porporato milanese. Scola paga, innanzitutto, la sua provenienza da Comunione e Liberazione. Vero è che l’arcivescovo di Milano ha preso nettamente le distanze dal movimento ciellino. Ad una domanda sui rapporti con Formigoni, storico esponente di CL, ha dichiarato: “Negli ultimi vent’anni l’avrò’ visto una volta in tutto”. E che la provenienza dal movimento di Don Giussani avrebbe costituito un “ostacolo” alla sua elezione, ne era conscio lo stesso Scola. Non troppo tempo fa, infatti, il cardinale Scola ha affermato che l’appartenenza a CL gli veniva da tutti imputata come una sorta di “doppio peccato”.

L’ostilità della curia italiana
Ma è stata soprattutto l’assenza di una curia che lo sostenesse, quello che potremmo definire un “partito italiano”, a determinare la “sconfitta” di Scola. Che i cardinali italiani fossero divisi tra di loro per rivalità anche personali lo si sapeva ben prima che i porporati si chiudessero nella Cappella Sistina. E si sapeva, soprattutto, che la maggior parte di loro non avrebbe mai votato per l’arcivescovo di Milano. Sono stati, probabilmente, il decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano e il camerlengo Tarcisio Bertone a guidare la “rivolta” contro Scola. Tra loro, infatti, ci sono state nel tempo numerose incomprensioni. Bertone, infatti, non ha mai perdonato a Scola di essere andato a Castel Gandolfo da Ratzinger per chiedere l’allontanamento dell’allora segretario di Stato. Secondo Giacomo Galeazzi de La Stampa, poi, “Sodano si è trovato su opposte barriere rispetto a Scola in varie partite di potere per il controllo di istituzioni cattoliche”. Se a cio’ si aggiunge, poi, che neanche il cardinale Ruini avrebbe “ordinato” i porporati che si sono recati da lui in visita, allora il quadro è abbastanza chiaro.

Il partito italiano, il vero sconfitto
Se, dal punto di vista personale, Scola è il grande “perdente”, da un altro punto di vista il vero “sconfitto” di questo conclave è il “partito italiano”. Una curia, quella italiana, che paga le numerose divisioni al suo interno ma, soprattutto, il coinvolgimento nei recenti scandali. Come infatti è stato evidenziato più volte, il caso Vatileaks, ovvero il trafugamento di documenti dall’appartamento papale, è percepito dal collegio cardinalizio come una scandalo tutto italiano, essendo italiani i protagonisti. Certamente, poi, non hanno giocato a favore di un pontefice italiano le annose vicende dello Ior, la banca vaticana, col repentino “defenestramento” del suo presidente, ovviamente italiano, Ettore Gotti Tedeschi. C’è poi, secondo l’editorialista del Corriere della Sera Massimo Franco, un ragione anche prettamente “politica”. Secondo Franco, infatti, la Chiesa italiana “pagherebbe l’alleanza di fatto col centrodestra berlusconiano che ha scalfito la credibilità dell’episcopato e del Vaticano romano, anche a livello internazionale”. I cardinali, quindi, hanno voluto evitare l’idea di una Chiesa italo centrica e, addirittura, eurocentrica proprio in un momento in cui il continente europeo sta assistendo ad un drastico calo del numero dei cattolici. Ma sembrano essere gli scandali, tutti italiani, la base del “fallimento” della cordata italiana. “Sullo sfondo si stagliano le divisioni che hanno attraversato le associazioni cattoliche italiane, il collateralismo tra le gerarchie ecclesiastiche e il potere politico, gli scandali e le inchieste giudiziarie che hanno investito ecclesiastici e politici ostentatamente cattolici” insiste Franco nella sua analisi.

Gli altri sconfitti
Altro grande “sconfitto” del conclave che si è appena concluso è l’arcivescovo di San Paolo Pedro Odilo Scherer. Contro di lui ha giocato, in particolare, l’essere considerato un “curiale”, vista la sua esperienza negli ambienti della curia romana. Scherer, infatti, è un membro della potente Commissione cardinalizia di vigilanza sullo Ior. E certamente le vicende che hanno scosso la banca vaticana non devono avergli giovato, avendo il porporato brasiliano sposato in pieno la linea del cardinale Bertone, fortemente criticato nel corso delle Congregazioni generali, contro l’ex presidente Ettore Gotti Tedeschi. Anche il cardinale Marc Ouellet era dato tra i favoriti, così come il cardinale ungherese Peter Erdo, ma la sensazione è che i due porporati non siano mai stati veramente in corsa. Secondo il vaticanista de La Repubblica Paolo Rodari, infatti, Ouellet e Erdo “sono stati entrambi visti come un compromesso al ribasso in favore di una tregua con i curiali che poco avrebbe cambiato le sorti della Chiesa”.

Come ne esce il partito americano
Erano in tanti a pensare che il successore di Benedetto XVI potesse provenire dal Paese del presidente Obama, il quale ieri, tra l’altro, aveva dato un chiaro endorsement all’elezione di un Papa americano. L’arcivescovo di New York Timothy Dolan e il cappuccino arcivescovo di Boston O’Malley potevano nutrire, a ragione, molte speranza. Il gruppo di cardinali americani era sicuramente quello più unito, dal momento che risiedevano tutti nello stesso luogo e si presentavano tutti insieme alle Congregazioni generali scendendo dal pulmino. Saranno quindi delusi? La sensazione è che non sia così. Sembrerebbe, infatti, che già da subito il cardinale Dolan abbia “girato” i suoi voti verso Bergoglio, rendendo così più facile la sua salita al soglio di Pietro. Ieri sera, Dolan, nel corso di una conferenza stampa convocata immediatamente dopo l’elezione di Papa Francesco, è apparso estremamente soddisfatto. “La Chiesa è in buone mani” ha dichiarato, con un sorriso sincero, l’arcivescovo di New York.


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