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L’Onu tenta di regolare il commercio di armi

Nove giorni per arrivare a un accordo che porti al primo trattato internazionale per regolare il commercio di armi. A New York le Nazioni Unite riprendono, fino al 28 marzo, le trattative dopo lo stallo dello scorso luglio, quando sulla mancata intesa pesarono le posizioni di Stati Uniti, Cina e Russia, membri permanenti del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, ma soprattutto ai primi posti nella lista dei Paesi esportatori.

In molti hanno imputato il fallimento delle trattative ai timori dell’amministrazione di Barack Obama di affrontare il tema alla vigilia della campagna elettorale per le presidenziali dello scorso novembre. In particolare per le pressioni della potente lobby delle armi rappresentata dalla National Rifle Association, che ancora oggi non ha fatto mancare la propria opposizione a ogni iniziativa che limiti quello che ritengono un diritto costituzionale: portare armi.

A dicembre il voto dell’Assemblea generale dell’Onu ha rilanciato le trattative. Il segretario di Stato americano, John Kerry ha chiarito che gli Stati Uniti -maggiore esportatore di armi al mondo- sono favorevoli a un accordo. Ma Washington fissa paletti. L’intesa dovrà riguardare il mercato internazionale, un giro d’affari pari a 70 miliardi di dollari, non il commercio interno agli Usa, tema sensibile nell’agenda politica statunitense dove si scontrano le spinte per porre un freno alla diffusione della armi intensificatesi dopo le recenti stragi e l’intransigenza della Nra che punta sull’assioma “più armi più sicurezza”.

I sostenitori del trattato chiedono un documento che regoli il commercio di ogni genere di arma convenzionale, munizioni comprese. È questo negli Usa uno dei nodi principali delle trattative. Per gli oppositori dell’accordo le munizioni non dovrebbero essere incluse, sebbene rappresentino per le sole armi leggere un giro d’affari da 4,2 miliardi di euro con 12 miliardi di pezzi prodotti ogni anno. Pechino punta invece a proteggere le armi leggere, mentre la Russia si oppone a misure che possano limitare di armare alleati.

Emendamenti alla bozza uscita dai colloqui di luglio, magari per assecondare le posizioni dei grandi Stati, snaturerebbero la natura del trattato. Di contro un documento che non fosse accolto da statunitensi, cinesi e russi, anche se votato dall’Assemblea Generale se non si dovesse arrivare al consenso, sarebbe depotenziato.

“È nostra responsabilità collettiva porre fine all’inadeguata regolamentazione del commercio globale di armi convenzionali, dalle armi leggere ai carri armati e alle portaerei”, si legge in una nota del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha voluto rimarcare il suo sostegno all’accordo. “Un trattato robusto allevierà le sofferenze di milioni di vittime dei conflitti e della violenza armata”.

Per le organizzazioni della società civile, che denunciano 2.000 morti al giorno per colpa delle armi, i nove giorni di colloqui saranno un banco di prova per la volontà degli Stati di dimostrare il proprio impegno per la tutela dei diritti umani e il diritto umanitario. Amnesty International ha voluto in particolare fare pressioni sui cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza – Usa, Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna – nel 2010 responsabili del 60 per cento del commercio mondiale di armi, un mercato che, secondo le previsioni, potrebbe raggiungere i 100 miliardi di dollari entro i prossimi cinque anni.



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