Il titolo del pezzo è crudo, ma un poco di rammarico si sente. Anche se la copertina è dedicata ad Everlasting Love, loro successo del 1999, la domanda che il titolo del pezzo a loro dedicato si pone è questa: “Perché gli U2 annoiano così tanta gente? Un occhio alla loro lotta per le hit pop e la giustizia sociale”. A correre in loro soccorso non è una rivista di musica, ma nientemeno che America, la rivista dei gesuiti yankee che tratta di loro nell’ultimo numero in edicola, quello del 21 agosto.
Il pezzo, a firma di David Dark, osserva: “Che fare con gli U2? Loro sono milionari conclamati. Sin dall’inizio ci sono stati quelli a cui stanno antipatici, come se la loro onestà fosse imbarazzante per ognuno di noi. E allora? E allora ci piace sapere dove incasellare la gente (…). Sei un artista o un attivista? Religioso o secolare? Queste divisioni nette servono bene lo schema di marketing di qualcuno, ma sappiamo – ce lo dicono cuori e menti – che non funziona veramente così. Noi amiamo quello che amiamo”.
E quindi i gesuiti americani amano gli U2, anche se tanti non li apprezzano. Dark si dice grato, ad esempio, del fatto che U2 ed MTV abbiano promosso Pride – in the name of love, canzone dedicata a Martin Luther King (qui il video). Gli U2 hanno spinto l’autore del pezzo di copertina di America a interessarsi a e scoprire Leonard Peltier (attivista finito in carcere in Usa per omicidio nel 1977), Desmond Tutu (arcivescovo anglicano e attivista sudafricano oppositore dell’apartheid), e Edna O’Brien (scrittrice irlandese).
Non è tutto: “Certo, gli U2 sono sicuramente rockstar che stanno invecchiando. Ma sono anche un movimento mediatico di pensiero, arte, onestà intellettuale e meticolosità. Nella musica pop degli anni ‘80 c’è stata un’allerta morale sulla carestia di massa, l’ambiente e la proliferazione nucleare, e gli U2 sono stati sicuramente al centro di tutto questo. Mi chiedo se il fatto che ci siano ancora sia troppo esagerato da sopportare per qualcuno, il fatto che stiano ancora lottando duro per queste cause insieme alle contraddizioni di ricchezza e impegno sociale. È come se il loro attivismo fosse in qualche modo un imbarazzo nei nostri confronti”.
Dark si è posto queste domande guardandoli al Bonnaroo Music festival che si tiene ogni anno ai primi di giugno a Manchester, sempre negli States (e non in Inghilterra, stavolta). Pubblico troppo giovane, che per esempio non conosceva le parole dei pezzi dall’album “The Joshua Tree”, disco del 1987 nel quale Bono se la prende contro l’amministrazione di Ronald Reagan e le sue attività in America Centrale (erano gli anni dello scandalo Iran-Contras, se vi ricordate). Ma malgrado tutto hanno conquistato la gente, collegato la loro musica agli attentati di Londra, alzato la voce contro la guerra. Conclusioni? “Penso a loro come ad una ‘pep band’ (le band che intrattengono la gente durante gli intervalli delle partite di baseball o football, fatte di pochi elementi, ndr) dei movimenti che lottano per la libertà in tutto il mondo, celebrando quelli che hanno fame e sete di giustizia”.
E mentre pensi a Bono che dice di Karol Wojtyla (“Giovanni Paolo II è quanto si possa sperare di più funky per un pontefice romano”, era il 2000, e il cantante era andato a incontrare il Papa polacco per “Jubilee 2000”, il comitato per la cancellazione dei debiti esteri dei Paesi del Terzo Mondo), un po’ di nostalgia ti assale.