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Gli errori di Italia e India nella questione Marò

La storia dei Marò è partita male dall’inizio, e nonostante i miglioramenti dei rapporti diplomatici degli ultimi mesi, la crisi tra India e Italia si è aggravata dopo la decisione del governo Monti di non far tornare i due militari a New Delhi. Secondo Alessandra Viviani, docente di Tutela internazionale dei diritti umani e Diritto internazionale dell’economia all’Università degli Studi di Siena, il venir meno della parola data dall’Italia all’India complica un quadro già ricco di dubbi sul rispetto dei trattati internazionali da parte di entrambi i Paesi.

Il divieto di espatrio imposto all’ambasciatore Mancini

I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati dell’omicidio di due pescatori indiani il 15 febbraio 2012, hanno infatti ottenuto un permesso di rimpatrio dalle autorità di New Delhi per il voto di fine febbraio. Ma a restare in India è adesso l’ambasciatore italiano Daniele Mancini, con il rischio di essere processato se i due marò non torneranno entro il 22 marzo.

I diritti dell’India 

L’incidente dell’Enrica Lexie, la petroliera italiana sulla quale si trovavano i due militari del battaglione San Marco, è avvenuto a 22,5 miglia dalla costa indiana, nella fascia di mare che, superate le 12 miglia limite delle acque territoriali, viene definita dal diritto internazionale come zona contigua (fino alle 24 miglia) e poi zona economica esclusiva (Zee – fino alle 200 miglia). “La giurisdizione sulle imbarcazioni che navigano in questa fascia spetta allo Stato di bandiera della nave – spiega Viviani in una conversazione con Formiche.net – Lo Stato costiero però ha alcune prerogative: il diritto allo sfruttamento economico delle risorse (non essendoci libertà di pesca per gli Stati terzi) e quello ad adottare misure di polizia per contrastare la pesca illegale e la pirateria. Anche nella zona economica esclusiva può quindi essere utilizzata una forza minima e comunque proporzionata all’esigenza di contrasto di questi illeciti”.

L’interpretazione della Convenzione Unclos

“In linea astratta, facendo riferimento alla Convenzione del diritto del mare Onu del 1982 (Unclos) i militari sulla nave sono sottratti a qualsiasi giurisdizione che non sia quella dello Stato di bandiera dell’imbarcazione, ma in realtà – osserva – se la prassi internazionale non è del tutto coincidente con quelle norme”. Per l’attività dei militari, come nel caso di specie dei marò, “il diritto di bandiera viene fatto valere solo nel quadro di accordi, ad esempio quelli Nato fra gli Stati membri dell’organizzazione. Perciò la regola è che a giudicare l’illecito è competente lo Stato di bandiera della nave. Nel caso del Cermis, ad esempio, si riconosceva la giurisdizione Usa perché l’attività era svolta nel quadro della Nato. Gli argomenti contrari al riconoscimento della giurisdizione americana si basavano sul fatto che l’attività svolta non rientrasse nel quadro dell’addestramento Nato”, sottolinea Viviani.

I dubbi sull’immunità dei Marò

Ci sono quindi dubbi sull’immunità totale di cui godevano i marò “perché non c’è un accordo specifico tra Italia e India per combattere la pirateria e la pesca illegale. I dubbi dipendono da come viene interpretata questa prassi sulle operazioni militari”, evidenzia il docente all’Università di Siena.

I punti controversi

Se è vero che la nave è stata attirata nelle acque territoriali indiane con l’inganno, “questo avrebbe dato il diritto all’Italia di adottare delle contromisure, come la non restituzione dei marò dopo il loro rimpatrio a Natale”. L’altro elemento non chiarito è chi abbia dato ordine di scendere dalla nave. “Se l’ordine fosse stato dato dalle autorità italiane, queste avrebbero violato le norme a tutela dei diritti umani, secondo cui nessuno deve essere consegnato ad un Paese dove rischia di essere sottoposto a pena di morte o a trattamenti inumani o degradanti”, afferma Viviani.

La violazione indiana della Convenzione di Vienna sulle immunità diplomatiche

La firma dell’”affidavit”, la dichiarazione giurata con cui l’ambasciatore italiano in India aveva garantito il rientro, poi disatteso, dei marò nel Paese, non comporta nessuna rinuncia alla immunità diplomatica di cui gode. “Per aversi rinuncia all’immunità deve esserci una dichiarazione esplicita da parte del diplomatico e dello Stato”. Secondo l’esperta la violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni ed immunità diplomatiche del 1961 da parte dell’india su questo punto è indubbia. New Delhi “al massimo, avrebbe potuto revocare le credenziali all’ambasciatore italiano allontanandolo dal Paese”, commenta.

L’errore del governo Monti

Ma la scelta di non restituire i Marò all’India andava fatta subito. “Dal punto di vista politico la decisione del governo Monti non ha un bell’impatto. Tantomeno è auspicabile proporre una trattativa di arbitrato internazionale una volta che la parola spesa è venuta meno”.

I rischi (economici) italiani del ricorso all’arbitrato

La soluzione di cui si discute ora è quella dell’arbitrato internazionale, “a cui si può ricorrere sempre se le parti trovano un accordo per affidare l’arbitrato ad un soggetto terzo, dipende solo dalla volontà dei due Stati”. Ma ci sono anche altri mezzi di soluzione diplomatica delle controversie come la mediazione o la conciliazione. E la proposta di affidare la risoluzione della controversia alla Cina? “Dovremmo stare attenti, considerando la posizione delle imprese italiane nei due Paesi”. L’India rappresenta infatti uno dei mercati più promettenti per l’Italia, con la previsione del raddoppio degli scambi commerciali entro il 2015 a 15 miliardi di euro.

La mediazione

L’immunità di cui godrebbero i marò insomma è un punto dubbio. “Probabilmente sarebbe più utile ricorrere ad un sistema di mediazione. La situazione è partita male dall’inizio, Se davvero la nave italiana è stata attirata nelle acque territoriali indiane con l’inganno, nessuno sarebbe dovuto scendere e Roma avrebbe potuto prendere delle contromisure subito, senza mai rispedire i marò in India dopo il ritorno di Natale. La situazione è complicata e si inquadra nel tentativo di New Delhi di ribadire la sua competenza nella Zee, che invece è limitata dal diritto internazionale”, conclude Viviani.


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