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Obama in Israele non ha lasciato segni

Quando tutti i riflettori del mondo sono su una visita mediatica così importante, è normale che vengano attribuiti risultati (nel breve termine) che magari corrispondono ad altre dinamiche. In un’intervista con Formiche.net, Giampiero Gramaglia, giornalista e consigliere per la comunicazione dell’Istituto Affari Internazionali, spiega che l’avvicinamento dell’Israele alla Turchia non è precisamente un effetto immediato della visita di Barack Obama in Terra santa.

“La visita di Obama è importante perché è la prima volta. Durante il suo primo mandato il presidente americano non era mai andato in Israele. Invece, adesso, è la prima missione all’estero del secondo mandato. Ma bisogna capire che in realtà non è stato lasciato nessun segno nel processo di pace tra israeliani e palestinesi. La situazione è ferma su quel fronte”, ha detto il giornalista.

Le scuse che ha rivolto Benjamín Netanyahu alla Turchia per l’attacco in acque internazionali a Gaza Mavi Marmara a maggio del 2010 sono effettivamente un superamento delle tensioni tra i due Paesi. Ma, secondo Gramaglia, era un riavvicinamento inevitabile e in questo Obama è intervenuto ben poco. “Faceva parte degli interessi di entrambi. Israele non ha altri alleati nella regione. Con l’Egitto in fase di transizione, non ha interlocutori nell’Islam. Dobbiamo però aspettare ulteriori conferme”, ha spiegato Gramaglia.

Il ruolo pallido dell’Europa
Se ben poco può fare l’America, poco può fare anche l’Unione europea. Secondo il giornalista, il ruolo dell’Europa in Medio oriente negli ultimi anni è stato fino adesso pallido e labile: “Dopo l’esplosione della crisi economica del 2009 l’Europa ha avuto pochissima influenza nella regione mediorientale, nonostante sia molto vicina. Ci sono state le Primavere arabe, la crisi in Libia e ora la guerra in Siria e si è fatto poco. È importante capire che nell’importante vicenda tra Israele e Palestina tutto è fermo”, ha detto Gramaglia.



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