Pubblichiamo un articolo del dossier “Euroscettici d’Europa: non solo Grillo” dell’Ispi
I paesi scandinavi sono noti per presenza di forti atteggiamenti euro-scettici a livello di opinione pubblica. La Norvegia ha respinto, attraverso due referendum (1974 e 1994), la possibilità di aderire all’Unione Europea. Ricorrendo al medesimo metodo decisionale, Danimarca (2000) e Svezia (2003) hanno optato per non aderire alla moneta unica, pur essendo membri dell’Unione Europea. L’azione dei governi finlandesi, invece, si è discostata significativamente da quella delle controparti scandinave, in direzione di un sostegno aperto all’integrazione europea, tanto da essere l’unico paese dell’area a essere entrato a far parte dell’Eurozona.
Ciononostante, fino a qualche anno fa gli osservatori si sorprendevano per l’assenza di partiti euroscettici rilevanti nel sistema partitico finlandese. Infatti, a lungo si è parlato di una “proverbiale stabilità” dei sistemi di partito scandinavi, i quali si sono strutturati dal secondo dopoguerra in un sistema tendenzialmente pentapartitico (comunisti, socialdemocratici, liberali, agrari e conservatori) a cui si sono aggiunti a partire dagli anni Settanta partiti populisti, ambientalisti e della sinistra libertaria. I partiti euro-scettici sono rimasti relativamente deboli nella politica finlandese – a differenza dei casi danese e norvegese – nonostante alcuni di essi fossero fortemente divisi al loro interno in occasione del referendum sulla membership all’Unione Europea dell’ottobre 1994, come l’Alleanza di Sinistra e la Lega dei Verdi.
Le uniche forze politiche parlamentari che hanno svolto una campagna oppositoria attiva ed esplicita nei confronti dell’adesione sono state i cristiano-democratici (Kristillisdemokraatit) e il Partito Rurale (Suomen maaseudun puolue). In generale, quindi, i partiti finlandesi hanno sostenuto il processo d’integrazione europea, basandosi sulla convinzione che solo un Ue forte ed efficiente avrebbe potuto garantire gli interessi dei “piccoli” stati membri. Alcuni studiosi hanno sostenuto, fino a qualche anno fa, che a differenza degli altri paesi nordici, in Finlandia non vi fossero delle issue specifiche politicizzabili da partiti euroscettici.
Il Partito dei Veri Finlandesi (Perussuomlaiset, Ps) venne fondato nel 1999 come successore del Partito Rurale (Smp), una scissione “poujadista” di quello che poi sarebbe diventato il Centro Finlandese (Kesk). Il Ps ha adottato fin dalle origini una forte retorica euro-scettica per poter comunicare agli elettori la propria differenza rispetto alle forze politiche del mainstream, legate da un consenso di fondo al processo d’integrazione europea. Alcuni studi hanno messo in rilievo come i partiti finlandesi siano rappresentativi delle posizioni dell’elettorato sul tradizionale asse destra-sinistra, ma non sui temi connessi all’integrazione, dinamica riscontrabile anche in altri paesi dell’Ue. La convergenza favorevole a una maggiore integrazione a livello di élite non si riscontra a livello popolare; infatti i sondaggi dell’Eurobarometro mostrano come il sostegno all’Ue fosse basso già prima dell’attuale crisi economica, in particolare da parte della popolazione rurale, gravemente colpita dalla Politica Agricola Comune. Ed è proprio la politicizzazione di questa policy che ha consentito al Ps di costruire il proprio successo elettorale, riacutizzando una preesistente frattura storica – ovvero città-campagna – che lo ha reso appetibile soprattutto nelle zone rurali del paese.
Dopo alcuni risultati elettorali insoddisfacenti (0,99% nel 1999 e 1,57% nel 2003) il Ps ha ottenuto il 4 per cento alle elezioni parlamentari del 2007, per poi ottenere alle elezioni europee del 2009 il 9,79, risultato più che raddoppiato alle politiche del 2011, con un impressionante 19,05 per cento. Sebbene non sia possibile isolare con certezza le ragioni di un tale successo elettorale, si può sostenere che una parte della spiegazione risieda nella capacità del leader, Timo Soini, di elaborare un messaggio capace di contraddistinguere il Ps dalle forze politiche mainstream, grazie a dei contenuti fortemente anti-europeisti e anti-immigrazione. In particolare, sembra che il tentativo di ridefinire la pre-esistente frattura città-campagna nei termini di una contrapposizione tra l’interesse nazionale e il processo d’integrazione europea costituisca il vero explanandum del successo dei Veri Finlandesi.
Mattia Zulianello, Ph.D. Candidate in Political Science, Istituto Italiano di Scienze Umane, Firenze.