Papa Francesco invita a “non chiudersi alla novita” anche quando “siamo stanchi, delusi, tristi” e “pensiamo di non farcela”. “Non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai – ha detto ieri sera durante la solenne Veglia Pasquale in San Pietro, la prima del suo pontificato -: non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo a Lui”.
Per analizzare i primi passi e le prime parole del successore di Benedetto XVI, Formiche.net ha intervistato Domenico Delle Foglie.
Sessant’anni, Delle Foglie è da gennaio scorso il direttore del Servizio per l’Informazione Religiosa (SIR), nato nel 1988 per iniziativa della Federazione Italiana Settimanali Cattolici e con il sostegno della Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Già vice direttore del quotidiano cattolico Avvenire, incarico lasciato nel 2007, Delle Foglie è stato il portavoce del Comitato Scienza & Vita in occasione del referendum sulla procreazione assistita nonché il coordinatore generale del Family Day nel 2007. Formiche.net ha incontrato Delle Foglie per parlare della rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino e dei primi gesti del suo successore, Papa Francesco.
Direttore, come bisogna interpretare, secondo lei, il gesto di Benedetto XVI? C’è chi ha parlato di un atto di “coraggio, amore per la Chiesa e umiltà” e chi, invece, ritiene che solamente nei prossimi decenni sarà possibile comprendere sino in fondo la portata di tale gesto..
L’aspetto fondamentale da valutare è legato alla discontinuità operata da Benedetto XVI, nel senso se tale gesto segni veramente un cambiamento nella storia della Chiesa. Ma questo lo potremo capire solo negli anni a venire, dal momento che nulla vieta di pensare che possa rimanere anche un gesto isolato. Ad oggi, infatti, non possiamo certo dire che si tratti di una scelta che segni profondamente una tradizione. Certo è, però, che vi sono anche dei significati aggiuntivi. Se nel frattempo, infatti, alcune cose nella Chiesa dovessero cambiare, allora anche questo gesto potrebbe assumere significati diversi. Questo perché nella vita della Chiesa c’è una prassi che determina anche significati completamente nuovi.
Nel corso delle Congregazioni generali non sono mancate le richieste di alcuni cardinali di un vero e proprio “cambiamento” nella Chiesa. Una volta in conclave, i porporati hanno eletto il primo Papa gesuita, il primo Papa proveniente dall’America Latina e il primo Papa a chiamarsi Francesco. E’ forse questa la svolta di cui aveva bisogno la Chiesa? Il gesuita belga Gilbert ha parlato di un “nuovo orizzonte per il papato”..
Sono tutti segni già ampiamente approfonditi nei giorni immediatamente successivi all’elezione del cardinale Bergoglio. Quello che per ora manca, affinché si possa segnare veramente una discontinuità, sono due dimensioni ben precise: i gesti di governo e i gesti di carità.
Quando parla di “gesti di governo”, allude forse alla tanto invocata riforma della curia romana?
Parlando di gesti di governo, vi sono, a mio avviso, due grandi questioni aperte. Da un lato, lo snellimento e la riduzione della curia romana, il suo ritornare ad essere sino in fondo a servizio della Chiesa universale. Una riforma, quella della curia, che probabilmente passerà attraverso la scelta di una nuova Segreteria di Stato, in grado di assecondare la linea pastorale della povertà annunciata da Papa Francesco. E’ anche ipotizzabile uno sganciamento progressivo dal controllo quasi ossessivo sui beni della Chiesa che, come dimostra il caso dello Ior, alla lunga può risultare nefasto. Dall’altro lato, però, vi è la questione della collegialità.
Una questione, quella della collegialità, sulla quale hanno puntato molto i cardinali nel corso delle Congregazioni…
Quella della collegialità è una questione serissima, in quanto è rimasta in sospeso dai tempi del Concilio Vaticano II e oggi richiede quindi un salto di qualità. Oggi siamo fermi ad un’espressione della collegialità che passa attraverso i sinodi. C’è però sempre la riserva assoluta del Papa di poter rigettare in qualunque momento le conclusioni del sinodo e riscriverle completamente. Un problema, quello della collegialità, che si ripropone con maggiore forza nel momento in cui la velocità del mondo ha preso in contropiede anche la Chiesa. Basti pensare, infatti, a come le decisioni una volta potessero richiedere tempi molto lunghi, mentre oggi vi è la necessità di consultazioni brevi e decisioni molto più tempestive. Un uomo solo, anche se Santo, non riesce a fare tutto e in tempi ristrettissimi. Credo quindi che su questo fronte avremo delle grandi sorprese.
Lei parlava, però, anche di una questione spirituale…
Esattamente. Si tratta di una questione legata all’interpretazione del proprio ruolo, cioè di come il papato sarà. Papa Francesco ha già dato dei segnali molto chiari dicendo “come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. Con ciò Francesco fa un programma di governo, esprime una chiara inclinazione. Nel recente discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il Papa ha parlato non solo di “povertà materiale ma anche di povertà spirituale”. Credo quindi che anche su questo fronte possiamo attenderci delle sorprese nel senso che Francesco vuole porsi come uomo di speranza. Anche se, forse, la domanda che tutti dovremmo porci è: “Chi ha bisogno oggi della speranza? Il povero delle favelas o l’uomo dell’occidente sazio e senza orizzonti?”.
Qual è il significato della scelta del nome Francesco? Padre Federico Lombardi ha parlato di “un Papa che vuole servire”..
Il tema del servire è insito nel concetto di Chiesa, è una connotazione certa del ministero. L’interpretazione del servizio, invece, può essere diversa. Papa Francesco ha scelto la strada delle parole, dei gesti, dei segni, tutti orientati verso il fronte del servizio. Concordo, personalmente, con coloro che affermano che la povertà, a certi livelli, la si sceglie, non la si subisce. Nel caso di Francesco, infatti, e di Bergoglio prima, la povertà è stata una scelta intenzionale. Di questo, però, non dobbiamo stupirci, dal momento che nella storia della Chiesa questo ha precedenti clamorosi. Ritrovo, infatti, in lui molti dei tratti di Madre Teresa di Calcutta, laddove l’interpretazione dello stare con gli altri è semplicemente il condividere sino in fondo la vita con loro. Non a caso Bergoglio diceva sempre: “Non bisogna adattare la realtà al programma, ma bisogna adattareil programma alla realtà”.
Papa Francesco si è presentato ai fedeli come “Vescovo di Roma”. E lo stesso ha fatto riferendosi a Benedetto XVI? Come mai tale insistenza? Vuole forse dare un significato “pastorale” al proprio pontificato?
Ci sono due questioni che si intrecciano. La prima è legata al cambiamento stesso del collegio cardinalizio che ha eletto il Papa. Sempre più il collegio cardinalizio non è un’assemblea di cardinali bensì un insieme di vescovi, ovvero un’assemblea di pastori che vengono dal contatto con la gente. Nei secoli passati, invece, non era certo così. Questo spiega perché Francesco si senta soprattutto vescovo, perché resti in piedi quando riceve l’omaggio dei suoi fratelli cardinali. Dall’altro lato, ovviamente, vi è una questione pastorale, nel senso che tra le sue scelte vi è anche quella di fare il vescovo di Roma. Francesco vuole quindi continuare a fare il pastore e non perdere il contatto con un popolo vero e concreto attraverso il quale esercitare la paternità universale.
Da tempo si discute su chi sia veramente il cardinale Bergoglio. Secondo alcuni un progressista, secondo altri un conservatore. Ha senso, oggi, una simile distinzione?
Noi giornalisti viviamo ancora nella post-modernità, e non ci rendiamo conto, quindi, che in realtà siamo già molto oltre. Destra e sinistra, conservatore e progressista, sono tutte categorie che non reggono più alla prova della realtà. Questo non vuol direche siano superate le divisioni, le quali però passano attraverso i valori in cui crediamo. Bergoglio, quindi, può permettersi di essere allo stesso tempo un uomo che crede nei valori della vita, della famiglia e passare per questo per un uomo di “destra” e un uomo che guarda ai poveri, passando così per un uomo di “sinistra”. Tutti e due i punti di vista ridotti a dottrina politica sono un errore. Ricondotti, invece, entro la genuinità del messaggio cristiano trovano una composizione originalissima.
Alcuni organi di informazione hanno dedicato ampio spazio alla presunta collusione di Bergoglio con la dittatura militare argentina. Possiamo dire che il pontificato di Francesco inizia con un’ombra pesante su di lui?
Credo che oggi dovremo abituarci sempre più a convivere con le ombre. Un problema, quest’ultimo, che si pone perché l’informazione è globale e in mezzo ad essa vi è tanta sporcizia. Tutto viene artefatto, ricostruito e non è detto che corrisponda sempre alla verità. Dobbiamo quindi rassegnarci ad essere giudicati giorno per giorno. Mi sembra che oggi il papato abbia perso quella sacralità, quella intoccabilità che lo ha caratterizzato nei secoli precedenti. E’ il mondo moderno che ha provveduto a tale operazione. Da credente e da uomo di comunicazione, però, non posso non evidenziare come a nessuna istituzione si sia applicato un metodo così capillare di ricerca del “male”. Il problema, infatti, è che il giudizio sulla Chiesa è molto più esigente che negli altri casi.
Si dice che una delle grandi sfide che il nuovo Papa dovrà affrontare sia quella della pedofilia. Eppure Benedetto XVI ha fatto molto per contrastare questo fenomeno. Come mai, però, questo messaggio non riesce a passare?
Le scelte fatte dalla Chiesa vengono accolte sempre con riserva. Nel mondo laicista vi è un forte pregiudizio verso la Chiesa, accusata di “predicare una cosa e fare l’esatto contrario”. Le cose, però, non stanno così. Benedetto XVI è stato esigentissimo sul fronte della pedofilia, tagliando tanti rami secchi, a costo anche di ferite profonde all’interno della Chiesa. E spingendo i vescovi, in ogni angolo del mondo, a collaborare con le autorità civili nel prevenire, stroncare e punire. Ma poi ha anche sovvertito la vulgata del Concilio Vaticano II sull’accesso al sacerdozio. E’ stato proprio Ratzinger a vietare l’accesso ai seminari a quelle persone che manifestavano chiare tendenze verso l’omosessualità. Questo, però, è stato visto come una condanna dell’omosessualità, con tanto di sollevazione del mondo omosessuale. Sono convinto, infatti, che questo sia uno dei motivi che ha determinato la campagna mondiale contro Benedetto XVI orchestrata dalla “lobby gay” nel mondo.
Come si comporterà Papa Francesco?
E’ innegabile che i problemi ci siano. Benedetto XVI li ha affrontati con grande forza e credo che Papa Francesco userà il metodo sino ad oggi mostrato. Agirà con carità e, al contempo, con fermezza. Certo è, in generale, che la Chiesa non ha goduto e non gode di buona stampa. Oggi siamo nella classica “luna di miele” che si concede a tutti, ma appena dirà il suo primo “no” alle coppie di fatto ed alle adozioni dei gay, allora inizieranno a “sparargli” addosso. Ma lui andrà avanti imperterrito perché sono cose sulle quali non intende recedere.
Sul Corriere della Sera Luigi Accattoli ha descritto Papa Francesco come una persona che “vive alla giornata ma lo fa con tale spontanea semplicità che pare pontefice da sempre”. Che comunicatore è Francesco?
E’ un uomo vero, un uomo che si è spogliato da tempo di una serie di orpelli e che ha scelto di essere semplice. Continuo a stupirmi delle omelie di sette minuti e spero continui sempre così. Ad un’omelia teologicamente perfetta, che dura però a lungo e che rischia di non arrivare al cuore degli uomini, io preferisco un’omelia teologicamente “arrotondata”. Quest’ultima, infatti, arriva più facilmente al cuore dei fedeli perché contiene in sé un messaggio che resta scolpito. Al giorno d’oggi scegliere una parola chiave, un messaggio chiave e farlo arrivare al cuore delle persone significa certamente aver contribuito a salvare un’anima.