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Armi nucleari e un premier per Pyongyang

La minaccia nucleare nordcoreana ha ora anche il benestare del Parlamento di Pyongyang. L’Assemblea suprema del popolo ha dato oggi il via libera al rafforzamento del programma d’armamento nucleare del regime dei Kim. L’organismo ha semplicemente il compito di ratificare decisioni già prese in altre sedi, in particolare nella potente Commissione nazionale di difesa, vero centro del potere nordcoreano, ma è il valore simbolico della decisione a contare, proprio nel giorno in cui la presidentessa sudcoreana, Park Geun-hye, annunciava al termine di un incontro al ministero della Difesa, di essere pronta a contrattaccare con forza e senza troppe considerazioni politiche in caso di minaccia.

“I militari servono a proteggere il Paese e la popolazione”, ha detto Park che appena una settimana fa, in occasione della commemorazione per il terzo anniversario dell’affondamento della corvetta Cheonan in cui morirono 46 militari, aveva rimarcato l’obiettivo di poter arrivare a perseguire la strategia della cosiddetta politica della fiducia verso il Nord, sviluppando relazioni pacifiche.

I toni usati dalla presidentessa vanno di pari passo con il crescendo delle dichiarazioni bellicose del regime dei Kim, che nei giorni scorsi ha messo in allerta le unità missilistiche e minacciato di sferrare attacchi contro le basi statunitensi in Corea del Sud, a Guam e nelle Hawaii, oltre a fare mostra sui media di Stato di presunti piani per colpire gli Stati Unti continentali. Dal canto loro gli Usa hanno schierato già da ieri gli F-22, fiore all’occhiello della propria aeronautica, nell’ambito delle esercitazioni congiunte con le Forze armate di Seul, che proseguiranno sino a fine aprile. L’ennesima prova di forza di Washington che nelle scorse settimane aveva fatto alzare in volo sia i bombardieri B-2, invisibili ai radar e capaci di trasportare armi nucleari, sia i B-52, con un’azione che rimanda all’utilizzo di questo genere di aereo durante la guerra di Corea negli anni Cinquanta del secolo scorso, della quale proprio quest’anno cadono i sessant’anni dalla firma dell’armistizio, cui tuttavia non seguì mai un trattato di pace.

Una risposta più muscolare, segno che a Washington non si sta sottovalutando l’atteggiamento nordcoreano e che forse, come scrive Murray Hunter su Asia Sentinel, fa parte del rinnovata strategia statunitense che fa dell’Asia uno dei perni della propria politica estera.

Una seconda decisione del Parlamento nordcoreano è stata l’istituzione di un ufficio che si occuperà di ricerca spaziale. Il settore è legato al programma d’arma nordcoreano. Il test missilistico a lungo raggio dello scorso dicembre è sempre stato presentato dal regime come il lancio di un razzo con l’obiettivo di portare in orbita un satellite, sebbene la comunità internazionale ritenga si sia trattato di mettere alla prova una tecnologia capace di colpire sino agli Usa. Bersaglio si ritiene ancora non alla portata degli armamenti nordcoreani, eccezion fatta per le Hawaii e l’Alaska. Il rischio è che un calcolo sbagliato nello scontro retorico tra Pyongyang da una parte e Seul e Washington dall’altra sfoci nel ripetersi di un attacco simile al bombardamento nordcoreano sull’isola di Yeongpyeong a novembre del 2010.

Come segnalato dal Daily NK dal Nord del 38esimo parallelo arrivano anche segnali di segno opposto alle scariche di testosterone. Alcuni giorni fa il sito riferiva dalle rassicurazioni che escludevano il rischio di un conflitto date dall’inviato dell’ufficio nordcoreano per il turismo nella Repubblica popolare per convincere i cinesi a visitare il Paese. Oggi riportava le testimonianze di nordcoreani che spiegavano come, nonostante le allerte e gli ordini per essere pronti al combattimento, la vita stia continuando senza grossi scossoni. E continua a funzionare anche il complesso industriale congiunto di Kaesong, dove 123 aziende sudcoreane danno lavoro a 50mila nordcoreani. Questo nonostante le minacce di chiusura lanciate da Pyongyang, cui non sono andate giù le insinuazioni della stampa occidentale e sudcoreana che vedono nel flusso di valuta verso il regime il motivo per cui le tensioni non hanno avuto ripercussioni sull’area.

Sotto osservazione è anche la nomina a primo ministro di Pak Pong-ju, considerato un estimatore del modello cinese. Pak ricoprì l’incarico tra il 2003 e il 2007 prima di essere messo in disparte. Il suo ritorno lascia presagire l’ipotesi di riforme, sebbene altri segnali in questa direzione dall’ascesa al potere del giovane Kim Jong-un non abbiano trovato poi riscontro.


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