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Camillo, il santo che rivoluzionò la sanità del suo tempo

Il fondatore del protestantesimo Martin Lutero, mai stato molto tenero con l’Italia cattolica e “papalina”, dopo il suo viaggio a Roma e a Firenze nel 1511 dovette riconoscere che negli ospedali «[…] ottimi cibi e bevande sono alla portata di tutti, i servitori sono diligentissimi, i medici dottissimi, i letti e i vestiti sono pulitissimi, e i letti dipinti. Appena viene portato un malato lo si spoglia di tutte le vesti […] gli si mette un camiciotto bianco, lo si mette in un bel letto dipinto, lenzuola di seta pura. Subito dopo vengono condotti due medici […]. Accorrono qui delle spose onestissime, tutte velate; servono i poveri e poi tornano a casa» (M. Lutero, Discorsi a tavola, Einaudi, Torino 1983, p. 272).

Nella ricorrenza del 400° anniversario della morte di San Camillo de Lellis (1550-1614), non sarebbe quindi male ricordarsi del ruolo importantissimo avuto da grandi santi come lui nell’istituzione e diffusione degli ospedali in Italia. Un nuovo libro, in particolare, ne da’ conto. Si tratta de La grande storia della carità (Cantagalli, Siena 2013, pp. 215), l’ultimo saggio dell’editorialista de “il Foglio” e de “il Timone” Francesco Agnoli che, nel capitolo dedicato a San Camillo de Lellis e San Giovanni di Dio (pp. 114-126), spiega come le compagnie di “chierici regolari” fondate da entrambi i santi, nel tardo Cinquecento, si fecero interpreti della volontà di “riforma cattolica” della Chiesa nel campo ospedaliero, assumendosi il carico della cura ed assistenza di tutti i tipi di infermi. Non a caso, nel 1746 sono stati entrambi proclamati santi da papa Benedetto XIV e, insieme, patroni universali dei malati, degli infermieri e degli ospedali.

Dopo aver lasciato la carriera militare (era soldato di ventura), San Camillo si convinse infatti della necessità di «organizzare una compagnia di uomini pii e da bene – riporta Agnoli nel suo libro -, che non per mercede, ma volontariamente e per amor di Dio, servano gli infermi, con la carità e l’amorevolezza che hanno le madri per i propri figli infermi» (p. 121). Per la previsione di una loro specifica formazione ed etica professionale, che andò di pari passo l’innovazione e dotazione di nuovi libri e strumentazione medica, «si può fondatamente affermare che Camillo fu il vero inventore della figura dell’infermiere moderno» (p. 122). Camillo li dotò della barella come la conosciamo oggi, per trasportare i malati, così come il campanello per chiamare l’infermiere o la famosa tecnica del cambio delle lenzuola senza spostare il paziente dal letto. Il santo fondò anche un nuovo Ordine, i Chierici Regolari Ministri degli Infermi (Camilliani), dedicato esclusivamente al servizio degli infermi, con il proposito di lavorare «per il puro amor di Dio, come una madre che assiste il suo unico figlio infermo». Iniziò con cinque compagni, ritrovandosi in un piccolo oratorio ricavato in una stanzetta di un ospedale e, il 26 maggio 1584, nella basilica lateranense, ricevette a 34 anni l’ordinazione sacerdotale.

I Camilliani, anche dopo la morte del fondatore, furono sempre in prima linea nel far fronte alle pestilenze e alle epidemie: morirono in grandi quantità nei lazzaretti, durante la peste del 1624, soprattutto a Palermo, e del 1630. Inoltre i figli di S. Camillo, come quelli di S. Giovanni di Dio, si prodigarono nel sovvenire i feriti e nel seppellire i morti sui campi di battaglia, durante l’assedio di Vienna, nel 1683, e in numerose altre occasioni. La loro opera, dunque, anticipò di tre secoli la nascita della Croce Rossa Internazionale, creata a Ginevra nel 1863 dall’imprenditore protestante Henry Dunant.

Il passaggio più delicato nella storia dell’Ordine fondato da San Camillo de Lellis fu probabilmente quello dell’esame, da parte del cardinale Vincenzo Santucci (1796-1861), Segretario della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari durante il Pontificato di Pio IX, della richiesta di riconoscimento canonico. A questo fine Santucci, che fu uno degli ultimi Cardinali-Diaconi di Santa Romana Chiesa (cioè non ordinato sacerdote), a partire dall’ottobre 1853 intraprese una lunga visita apostolica all’Ordine richiesta dalla sua Congregazione. Provvedette alla sua approvazione nella Chiesa il 18 marzo 1856, poiché convinto della risoluzione della problematica “dottrinale” di maggiore rilevanza posta, vale a dire quella del ruolo dato ai laici nell’organizzazione dell’Ordine, soprattutto nel momento in cui, nella seconda metà del XIX secolo, esso prese ad operare non più solo in strutture ospedaliere altrui, ma anche in opere di assistenza ed educazione proprie, affidate in autonomia al laicato (cfr. Aa.Vv., Pio IX e la Questione Romana. Atti del convegno sul cardinal Vincenzo Santucci, D’Ettoris Editori, Crotone 2012).

Con l’occasione dell’anniversario della morte di Camillo, sono diverse le mostre e convegni organizzati in tutta Italia per ricordarne la figura ed il lascito del santo di Bucchianico (CH). In particolare, a Torino dal 16 marzo scorso è esposta in molte occasioni ai fedeli la reliquia del “Cuore di San Camillo de Lellis”, trasportata all’uopo dalla Casa generalizia dei Ministri degli Infermi a Roma nella Provincia Camilliana regionale. Molte altre iniziative culturali sono previste nello stesso capoluogo piemontese, volte soprattutto a mostrare il lavoro di assistenza dei Padri in tutto il mondo. Venerdì 5 aprile, a partire dalle 21 è per esempio prevista una serata dedicata alla Georgia, con il fotografo Guillermo Luna presso la Chiesa di San Giuseppe (Via Santa Teresa 22, Torino). Per ulteriori dettagli ed il programma completo del IV Anniversiano Camilliano si veda il sito ufficiale: www.camillodelellis.org.


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