A Bologna stiamo avendo un’ulteriore conferma dei danni che un becero e retrogrado statalismo può arrecare al cittadino e ai valori sanciti dalla Costituzione italiana. Stupisce che a compiere tale scempio siano forze politiche che proprio nell’ultimo periodo hanno esaltato la nostra Carta Costituzione come “la migliore del mondo”, consapevoli del fatto che la sua attuazione ha per decenni evitato che il nostro Stato diventasse una succursale della disciolta Unione sovietica. La nostra Costituzione è una sintesi dei valori di tre culture fondamentali per la storia e la cultura del nostro Paese: la cultura cattolica, la cultura socialcomunista e la cultura liberale. Nel compromesso tra queste tre culture, incarnate da Padri costituenti che mettevano al primo posto l’interesse collettivo e non il proprio tornaconto personale e di partito, si è disegnato un sistema scolastico fondato sulla compresenza di scuole pubbliche e scuole private. Si pensò, infatti, in modo illuminato e costruttivamente pluralista, che la libertà educativa fosse uno dei valori fondamentali per la pacifica convivenza tra le persone e che anche soggetti istituzionali privati potessero garantire, rispettando precisi standard qualitativi, un servizio pubblico come quello dell’istruzione (art.33 comma 3). Un recente studio compiuto dal giornalista Giuseppe Rusconi (“L’impegno. Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno”, ed.Rubbettino) documenta che lo Stato da solo, senza l’apporto dei privati, non potrebbe in alcun modo far fronte ai bisogni educativi e di istruzione degli italiani e anzi beneficia in modo cospicuo delle iniziative private nel settore dell’istruzione (lo Stato risparmia ogni anno 6.245 milioni di euro grazie alle scuole paritarie e, siccome i due terzi delle scuole paritarie sono cattoliche, ne consegue che la Chiesa fa risparmiare ogni anno allo Stato circa 4 miliardi e mezzo di euro, ma, ovviamente, nessuno lo dice né lo scrive perchè la Chiesa fa notizia solo quando si parla di scandali, veri o presunti…).
Il 26 maggio i bolognesi potranno andare a votare per un referendum consultivo che punta a togliere il contributo del Comune alle scuole paritarie dell’infanzia e che è appoggiato da Sel, grillini, Idv e Cgil scuola. Il rischio è che, anche su questo tema, si crei una reazione a catena in tutta Italia e che anche altre città governate da forze stataliste, laiciste e anticlericali promuovano iniziative analoghe. Oltre che un attentato alla Costituzione e ai valori in essa sanciti, queste consultazioni referendarie, figlie di un populismo demagogico davvero stucchevole, rischiano di demolire anni di sana e virtuosa collaborazione pubblico-privato in ambito educativo e scolastico.
Concepire in maniera ideologica il ruolo della scuola pubblica è quanto di più antistorico si possa immaginare per rilanciarne il ruolo e la funzione. La sussidiarietà orizzontale pubblico-privato è stata, è e rimane l’unica strada per garantire livelli di istruzione adeguati e libertà educativa per tutti.
I recenti tagli e la scure della spending review, uniti alla spada di Damocle del patto di stabilità, hanno ulteriormente ridotto le risorse destinate alla scuola pubblica e quindi non rimane altra strada ai comuni illuminati se non quella di valorizzare quelle esperienze educative private che hanno dimostrato di funzionare, altrimenti l’emergenza educativa esploderebbe e il pubblico, da solo, non riuscirebbe a farvi fronte (l’anno scorso ben 400 bambini bolognesi sono rimasti fuori dalle scuole pubbliche per mancanza di risorse del Comune).
Oggi a Bologna le scuole private parificate sono 27, tutte convenzionate e se l’esito del referendum dovesse far prevalere i sì, molte di queste dovranno per forza chiudere i battenti. Sono soprattutto scuole dell’infanzia: 9 gestite da enti religiosi, 8 in capo a parrocchie, cinque a cooperative di genitori, tre rette da fondazioni e due da associazioni libere.
Il referendum ha ricevuto l’appoggio non solo dei grillini, ma anche di Sel, Idv, Fiom, di molte associazioni di stampo laicista e anticlericale e anche della Cgil scuola, vera e propria corporazione, dalla quale ha preso le distanze perfino il segretario Cgil di Bologna (una faida interna al sindacato e che la dice lunga sulla necessità di svecchiare anche la rappresentanza sindacale nel nostro Paese). Per fortuna non tutta la sinistra è schierata da quella parte. Accanto a Pdl, Lega e Udc, contrarie al referendum, è arrivato anche il punto di vista del Pd e del sindaco di Bologna Merola, il quale ha già annunciato che andrà quartiere per quartiere a spiegare le ragioni del no. Anche perché in Puglia, dove Sel esprime il presidente della Regione, la collaborazione pubblico-privato, sia nella scuola che nella sanità, sta dimostrando di funzionare. Stessa cosa dicasi a Parma, città recentemente conquistata dai grillini. Insomma, Bologna assomiglia sempre più alla Stalingrado d’Italia…