Niente mani libere per il governatore della Bce, Mario Draghi. A restringere il suo campo d’azione di politica monetaria sono i paletti imposti dai termini del suo mandato e l’ombra della Bundesbank nel board dell’Eurotower. Ma di euro non si può morire, spiega in una conversazione con Formiche.net il docente di economia monetaria e dei sistemi finanziari Michele Bagella, il cui ultimo lavoro è il saggio “La Varicella Sociale del XXI secolo”.
Se, da un lato si richiede il rispetto dei parametri di Maastricht, dall’altro si frenano le riforme che consentirebbero un maggior controllo sul credito e sulle banche. A quando lo sblocco? Sicuramente non prima del voto tedesco di settembre.
La decisione della Bce di non abbassare i tassi? “E’ il segnale che a Francoforte continua a prevalere l’opinione di chi teme di innescare pericoli inflazionistici. Draghi fa quel che può nell’ambito del suo mandato e delle regole che deve seguire. Di certo, così facendo, la Bce si pone sul lato opposto rispetto a quanto deciso ultimamente da Fed e Banca del Giappone. Essa rischia di isolarsi dalla ripresa che invece è prevedibile acceleri in questa parte del mondo grazie ai programmi di immissione di liquidità (Quantitave Easing)”, sottolinea Bagella.
Le possibili mosse di Draghi
Draghi dispone di alcuni strumenti tutt’altro che secondari. Nell’immediato futuro potrà “diminuire ulteriormente i tassi d’interesse e lavorare affinché nel board prevalga la linea che non permetta al tasso di cambio dell’euro di essere in progressiva ascesa. Se dollaro e yen
continueranno a svalutarsi, e l’euro ad apprezzarsi, alla fine ad essere danneggiata sarà la stessa Germania. Il governatore della Bce potrà poi spingere ulteriormente l’acquisto di titoli sovrani nel mercato secondario”, commenta.
L’esempio della Banca del Giappone
“In Giappone, ad esempio, c’è stata una vera svolta della politica monetaria che ha già portato lo yen a svalutarsi”. L’alternativa? Secondo Bagella “la BoJ avrebbe potuto continuare sulla via che ha tenuto il Paese imbrigliato nella trappola della liquidità per anni. Di certo, l’annuncio di voler arrivare ad un tasso di inflazione annuo del 2% e di raddoppiare la base monetaria, non potrà impedire al governatore Kuroda di chiudere il rubinetto se il raggiungimento di tale obiettivo arrivasse prima del previsto. La Bce potrebbe in principio seguire la stessa strada, tirando il freno solo dopo aver superato l’obiettivo del 2%. Ed invece l’economia reale sta soffrendo al di là delle previsioni più pessimistiche”, osserva.
Gli interessi tedeschi
“Ma perché la Bce non dovrebbe seguire un indirizzo in grado di portare ad un euro meno forte, stimolando le esportazioni? Evidentemente il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha altre idee al riguardo. La Germania infatti non sta sopportando alti tassi di disoccupazione e perdita di Pil come i Paesi dell’eurosud, compresa l’Italia, sebbene abbia
registrato qualche rallentamento. Ma anche se i suoi comportamenti politici sembrano ispirati più a visioni di breve periodo, in una visione più strategica, dovrebbe preoccuparsi molto anche dell’andamento delle altre economie”, dichiara.
Avanti con l’austerità
Secondo Bagella è meglio non parlare di fine dell’austerità. “Nel brevissimo termine la linea seguita sarà quella solita. La crisi di Cipro ha avuto l’effetto di spaventare i cittadini dei Paesi dell’Europa del Sud, ma c’è un problema a monte: il rallentamento impresso alla creazione
dell’unione bancaria europea. Una vigilanza comune avrebbe di sicuro evitato situazioni disastrose come quelle delle banche cipriote”. E il nodo delle Landesbanken tedesche? “Le lobby del Paese di sicuro sono al lavoro per frenare l’unione bancaria. Da un lato si richiede il rispetto dei parametri di Maastricht, dall’altro si frenano le riforme per consentire un maggior controllo sulla creazione del credito”.
Il voto a Berlino
Quello che l’economista si augura è che si tratti “solo di un rallentamento e che Draghi riesca a sbloccare la situazione dopo il voto tedesco. Con le elezioni in Germania a settembre, l’attuale governo e la Bundesbank vivono di attesa”. Ma come la mettiamo con il sostegno, crescente dopo Cipro (68%), di cui gode la cancelliera Merkel? “Certo, i cittadini tedeschi si sentono tutelati dalla politica europea di rigore garantita dalla leader. Ma dopo il voto, anche con un nuovo esecutivo guidato dalla Merkel, è auspicabile che lo spirito dei nuovi governanti tedeschi sia tale da assicurare maggiore crescita e stabilità alle economie dell’eurozona, evitando il fallimento dell’euro che sarebbe disastroso per tutti compresa la Germania.
L’unione bancaria e fiscale
La razionalità economica spinge ad evitare gli alti costi del fallimento, la ragionevolezza politica spinge a dare più forza all’unione bancaria e a fare concreti passi avanti dal punto di vista dell’unione fiscale. E’ sperabile che prevalgano entrambe”, conclude.