La decisione del governo di Cipro, spintonato da una Troika troppo invadente, di tassare tutti i conti correnti oltre i 100 mila euro delle banche cipriote in default, è stato un test premeditato e un pericoloso precedente per l’intera Ue. Lo possiamo affermare con certezza.
La conferma, del resto, è arrivata dal portavoce di Michel Barnier, il commissario europeo al mercato interno, che non ha potuto escludere la possibilità che, in futuro, i depositi oltre quella cifra possano essere utilizzati per operazioni di salvataggio delle banche in crisi.
Anche l’Institute of International Finance di Washington, uno degli enti privati più noti della finanza globale, ha sostenuto che la soluzione cipriota potrebbe diventare un modello per l’intera Europa.
Al riguardo è da sottolineare che dal 10 dicembre 2012 era già in circolazione un documento della americana Fdic, Federal deposit insurance corporation e della Bank of England, il «Resolving globally active, Sistemicaly important financial institutions », che affronta le emergenze relative all’eventuale bancarotta di istituzioni finanziarie di importanza sistemica. Si afferma che non si intende più utilizzare i soldi pubblici per salvare con dei bail-out le banche in crisi, come finora è sempre avvenuto dopo il fallimento della Lehman Brothers.
Il motto è: dal bail-out al bail-in! Con il procedimento del bail-in le perdite dovranno essere sopportate dagli azionisti e dai cosiddetti «unsecured creditors». Sembra molto razionale: perché devono essere i contribuenti a pagare per le malefatte e per i giochi fatti dai banchieri con i derivati speculativi? Ma il diavolo, come sempre, si nasconde tra i dettagli.
Chi sono questi fantomatici «unsecured creditors»? Di certo i detentori di azioni, obbligazioni e di altri titoli di credito non garantiti. Si salvano invece i crediti vantati dalle pubbliche amministrazioni, dalle banche centrali, dalla Bce in Europa e da enti internazionali come il Fmi.
Dopo la crisi del 2008, per evitare il panico e la fuga dalla banche, i governi europei opportunamente hanno deciso di garantire i depositi dei correntisti fino ad un massimo di 100 mila euro. Il che significa, almeno in teoria, che, oltre quella cifra, i depositi potenzialmente entrano a far parte degli unsecured creditors. Potrebbero essere quindi confiscati per coprire i buchi e/o forzatamente trasformati in capitali di rischio (azioni) della banca.
Si colpiscono direttamente i risparmiatori anziché i contribuenti. Negli Usa la decisione di mettere in campo la Fdic, invece della Fed, è ancora qualcosa di più perverso. Infatti essa era stata creata dal presidente Roosevelt per fronteggiare la grande crisi bancaria del ’29 e proprio per garantire i depositi dei risparmiatori e delle famiglie.
È importante notare che Londra, a sua volta, si aspetta che sia proprio la direttiva europea per evitare instabilità finanziarie in caso di crisi bancarie, la «Recovery and Resolution Directive», a fornire maggiori poteri di intervento. Ciò sta a significare che il citato documento anglo-americano detta il nuovo corso all’intera Europa.
Nel definire strategie di «intervento risolutivo» per singole gravi emergenze finanziarie, non si prende in considerazione la cosa più ovvia: cosa si intende fare se i meccanismi dello stesso sistema sono la causa dei fallimenti?
D’altre parte il documento indica come un atto dovuto di riorganizzazione e di stabilizzazione delle banche in crisi la possibilità di separare le attività di deposito da quelle di investimento. Cosa naturalmente auspicabile.
Ma allora perché non ritornare alla pura e semplice separazione tra banche commerciali e banche di investimento, proprio come indicato dalla legge Glass-Steagall del 1933? Secondo noi sarebbe la via più sicura per garantire una vera protezione per i risparmiatori e mettere al contempo fuori gioco la speculazione.
Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**
*Sottosegretario all’Economia del governo Prodi
**Economista