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Perché conviene curare l’industria del farmaco

Far venir meno la copertura brevettuale di un farmaco? Significa dare un duro colpo a ricerca e sviluppo. E all’economia del Paese. A ribadire l’importanza del riconoscimento del brevetto farmaceutico è il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi. In una conversazione con Formiche.net, commenta gli ultimi sviluppi sui generici in India e, numeri alla mano, sottolinea l’importanza dell’industria anche per il Pil e l’occupazione italiana.

La sentenza indiana sui generici

L’India è sotto i riflettori per la sentenza della Corte Suprema del Paese che ha rifiutato la richiesta di brevetto depositata dall’azienda farmaceutica svizzera Novartis per un costoso trattamento anticancro, commercializzato con il nome Glivec, sostenendo che è una modifica di un prodotto precedente e le sue proprietà non sono cambiate. “La decisione dell’India ci lascia esterrefatti – spiega Scaccabarozzi -. Far venir meno la copertura brevettuale significa dare un colpo duro a ricerca e sviluppo. La copertura viene data quando è presentata la molecola, dura venti anni, e servono dieci di investimenti per brevettare un prodotto. Lo sfruttamento sul mercato prima che scada il brevetto, poi, dura tra gli otto e i dieci anni. In questo modo si garantisce che gli investimenti, oltre un miliardo di euro per un farmaco, siano tutelati”.

Chi stabilisce i prezzi dei farmaci

“Il prezzo del farmaco è dunque giustificato per rientrare dell’investimento, e per far sì che queste risorse continuino ad alimentare ricerca e sviluppo”, sottolinea. Oltretutto, il prezzo non è deciso in autonomia, “ma è stabilito a seguito di una contrattazione con l’Agenzia italiana del Farmaco, l’Aifa”. Ma, oltre ai costi, “sono anche i rischi ad essere notevoli. Una molecola ogni diecimila arriva sul mercato. Far venir meno la protezione brevettuale comporta anche la perdita di ricerca e di innovazione. Attività sui farmaci che fanno le industrie private, e senza di questa scordiamoci nuovi medicinali”.

L’importanza del brevetto per l’innovazione

Ma la decisione della Corte Suprema indiana sul farmaco Novartis è solo l’ultima in ordine di tempo. Sempre in India, lo scorso novembre, era toccato infatti ad un’altra multinazionale del farmaco, la Roche, vedersi revocare il brevetto di un farmaco, usato per la cura dell’epatite B. E nel ciclone sono finiti anche due brevetti per antidiabetici. “Le decisioni dell’India sono controproducenti per il Paese stesso. E questa strada non potrà certo essere seguita da altri Paesi. Senza copertura brevettuale, non ci sarebbe stata innovazione nel passato. Oggi non si curerebbero malattie importanti come, ad esempio, l’Hiv e saremmo per certi versi ancora fermi alla penicillina”.

L’industria farmaceutica italiana

Il settore farmaceutico al momento “si trova in un’impasse pericolosa. I provvedimenti assunti negli ultimi mesi dal governo Monti hanno causato una contrazione dei mercati ma hanno anche ritardato l’accesso del nostro Paese all’innovazione. Un farmaco infatti arriva in Italia circa due anni e mezzo dopo gli altri Paesi europei”. Perché? “Un anno è necessario per l’approvazione dell’Aifa, uno per quella a livello regionale. Se poi si tratta di un prodotto ospedaliero, i mesi richiesti saranno almeno altri due”.

L’importanza dell’export

Non bisogna dimenticare che “l’Italia è il secondo Paese, dopo la Germania, per presenza industriale del settore farmaceutico. Ci sono 165 fabbriche sul territorio che producono per il mercato interno e per l’export, che ammonta al 65% del prodotto. Un dato rilevante per il Pil. E se oggi il dato sulla produzione resta positivo è proprio grazie all’export. La preoccupazione, infatti, è quella di assistere ad una delocalizzazione degli impianti industriali, con risvolti drammatici anche a livello occupazionale”.

I numeri

Ma i numeri parlano chiaro. “Il mercato del Paese per la nostra industria è di 12,2 miliardi. Solo di tasse, contributi e stipendi, versiamo 12,7 miliardi. Il bilancio, quindi, è già positivo. E con l’export il giro d’affari arriva ad oltre 25 miliardi. Se avessimo solamente una presenza commerciale? Ci fermeremmo a 4,3 miliardi”, conclude Scaccabarozzi.



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