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Thatcher e quel no all’euro

Difficile ricordare Margaret Thatcher senza dire delle banalità: di lei, come di ogni grande personaggio della storia, è stato raccontato e scritto tutto. Al di là delle sue epiche battaglie contro i sindacati, della sua riscoperta del liberalismo, della sua fede nella superiorità del sistema di vita e dei valori del mondo anglosassone, ora che non c’è più vale la pena tenere a mente la sua assoluta opposizione alla nascita di una moneta comune e di una banca centrale europea.

Nel suo ultimo discorso alla Camera dei Comuni nel 1990, sostenne non solo che l’Inghilterra non avrebbe mai dovuto entrare a far parte dell’euro (e in questo è stata ascoltata) ma che il progetto in sé era una follia, un’astrusa costruzione politica che avrebbe portato solo dei guai: nell’euro vedeva un maligno che avrebbe potuto addirittura mettere a rischio le tenuta democratica del vecchio continente. C’era molto politichese in questa sua posizione: la moneta unica è stata frutto di un epocale compromesso raggiunto per consentire alla Germania di ottenere la riunificazione; una pagina di storia decisiva, ma non scritta in lingua inglese, e per questo poco gradita alla Signora di ferro.

Tuttavia, ora che l’Europa si dibatte nei vincoli creati da una moneta unica fatta su misura di Berlino, mentre un Paese dopo l’altro vede profilarsi il fantasma della povertà (copyright: Giulio Tremonti), certamente c’è da chiedersi se nella costruzione dell’euro non siano stati commessi molti, imperdonabili errori. Forse qualcuna delle critiche di Margaret Thatcher avrebbe dovuto essere ascoltata e non liquidata con un’alzata di spalle. La storia non si fa con i se o con i rimpianti, ci mancherebbe. Però si fa raccontandola tutta e su questo punto la lotta contro l’euro della Signora Thatcher non va messa nel dimenticatoio: merita un capitolo.



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