Pro o contro larghe intese? Il “coraggio” lodato ieri dal capo dello Stato per “quella scelta di inedita larga intesa e solidarietà” che portò al Compromesso storico nel 1976 ha riaperto una discussione mai sopita. Per superare lo stallo in cui è caduto il nostro Paese in questo momento, l’Italia si divide tra chi auspica che quel modello possa essere replicato anche oggi e chi pensa che esso non possa essere replicato in queste condizioni e sia preferibile il ritorno alle urne. Anche i due principali quotidiani italiani sembrano dividersi su questo fronte.
Il Corriere e “il valore del metodo Chiaromonte”
C’è chi, come il Corriere della Sera, le larghe intese sembra averle sempre incoraggiate, ospitando le interviste di Matteo Renzi, Dario Franceschini, Roberto Speranza, tutti esponenti del Pd favorevoli a quest’ipotesi e al dialogo con Silvio Berlusconi. Nel suo commento odierno, l’editorialista Paolo Franchi sottolinea la bontà del “metodo Chiaromonte” (lo storico dirigente del Pci e tra i principali artefici negli anni Settanta della collaborazione di governo tra Dc e Pci, ndr) che la sinistra avrebbe dovuto valorizzare: “Oggi è legittimo chiedersi quanto abbia pesato e pesi, nelle ambasce della sinistra italiana, l’abbandono (o il rigetto) di una ispirazione e di una tradizione che certo andavano rinnovate in profondità, ma non trattate come un ferro vecchio”.
Repubblica e “il compromesso antistorico”
C’è chi invece, come Repubblica, all’eventualità delle larghe intese sembra non credere. Una linea che trova conferma nell’editoriale di oggi di Massimo Giannini dal titolo “Il compromesso antistorico”. Il vicedirettore del quotidiano romano elogia nella teoria l’accordo auspicato dal capo dello Stato ma chiarisce: “Nella pratica, l’esperimento che riuscì nel 1976, quando Dc e Pci si accordarono per far nascere il terzo governo Andreotti, non è in alcun modo ripetibile. Le analogie storiche non reggono. Le condizioni politiche non esistono”. E l’ostacolo a questo progetto è soprattutto uno: “Bersani non è Berlinguer, e su questo non ci sono dubbi. Ma quello che conta di più, in questo parallelismo storico improprio e improponibile, è che Berlusconi non è Moro. Un abisso incommensurabile, umano, culturale e politico, separa lo statista di Maglie dall’uomo di Arcore. Non c’è accostamento possibile tra la filosofia con la quale Moro propiziò le ‘larghe intese’ nel ’76 e l’idolatria con la quale Berlusconi propugna adesso la ‘grande coalizione'”. Insomma Giannini sembra dare ragione a Bersani quando ripete instancabile il suo no a un accordo con l'”impresentabile” Berlusconi. E traccia l’alternativa che alla fine prevarrà: “Se invece tra i partiti c’è ancora chi si culla nel sogno del ‘compromesso antistorico’, farà bene a svegliarsi in fretta, e ad acconciarsi ad un rapido ritorno alle urne”.