Overview del concetto di genere
Da quanto è stato introdotto nel vocabolario delle scienze sociali il concetto di “genere”, la società ha fatto molti passi avanti nella comprensione della diversità. Il pensiero occidentale, fino a quel momento statico, monolitico e incapace di cogliere la molteplicità di qualità associate agli esseri umani e la complessità del sociale, con l’avvento dei gender studies si è raffinato.
Sulla scia degli studi basati sul genere, e sulla costruzione delle identità di genere, si è andata consolidando nel tempo una trasformazione epocale: l’omosessualità, per esempio, che veniva associata alla malattia mentale o a una deviazione morale (in base alle posizioni religiose più radicali), ora viene concepita come una “variante naturale del comportamento umano” (OMS, 1996). Come documentato da diverse indagini antropologiche e sociologiche, e socio-giuridiche, l’omosessualità era anche considerata un crimine, tanto che fino a non molto tempo fa, anche nei Paesi occidentali, esisteva il crimine della “sodomia” (in alcuni Paesi è prevista la pena di morte, come in Iran, dove vige un regime teocratico). Come sostenuto dall’antropologa Rubin e dal sociologo Kimmel, l’omosessualità (al pari delle questioni femminili) ha rappresentato un pretesto per la riproposizione del potere maschille ed eterosessuale (cfr. anche Scott, 1986). L’odio e il razzismo di cui omosessuali e donne sono stati (e sono in taluni casi anche oggi) vittima si giustifica, secondo gli studi antropologici e sociologici, su questa egemonia maschile ed eterosessuale. Così ogni cosa che è diversa da questo modello è criminalizzato e condannato e questo è quanto la ricerca storica, sociologica, antropologica e psicologica ci ha spiegato. Contro gli omosessuali si è sempre consumata una violenza senza precedenti, e tutt’oggi questo razzismo e odio è proprio di certi movimenti politici e/o religiosi integralisti. Alcuni parlano, ideologicamente, di lobby omosessuali e di fantomatici complotti internazionali. Ma non scendo sul piano della polemica, rimaniamo sull’analisi scientifica.
La categoria del “gender” nelle scienze sociali e lo sviluppo scientifico
Se in natura esistono (di norma, fatta eccezione per casi di interessismo) due sessi distinti, lo stesso non si può dire della percezione di sé e del modo in cui le società costruiscono le idee di maschile e femminile (come documentato dagli studi antropologici e sociologici). Infatti, il genere è una categoria socialmente e storicamente definita, non attiene al sesso biologico o alla genetica, ma alle prescrizioni che la società dà ai soggetti. Nell’universo del genere rientrano gli studi sul femminismo, sull’orientamento sessuale e sulle cosìddetta “disforia di genere”, ossia della discrepanza tra sesso biologico e rappresentazione di sé. Se il “genere” fosse solo una ideologia, non ci sarebbero casi, questi si definibili “patologici” perché generano malessere almeno psicologico, nei soggetti interessati, in cui persone che nascono di un sesso biologico hanno una sensazione, una bisogno, di comportarsi e di essere del sesso opposto (con documentazione di casi ben prima della data di nascita del concetto di “genere”). Non si può negare, solo sul pretesto di una ideologia, religiosa o meno, che questa evidenza empirica, perché riscontrata nella realtà sociale, sia illusoria: sarebbe una bugia.
Ci sono esistenze fortemente colpite da questa eventualità: donne che non si sentono donne e uomini che non si sentono uomini. Le società tradizionali, applicando una ideologia bianaria e sessista, impongono a questi soggetti di vivere in conformità con gli atteggiamenti e i ruoli definiti “appropriati” per il sesso di appartenza (niente di naturale, bensì molto di culturale, come dimostrato dagli studi della sociologa Chiara Saraceno). Questa richiesta forzosa della società tradizionalista è una vera e propria violenza nei confronti di queste persone che sono costrette a vivere non come vogliono loro, ma come la società (l’ideologia che la sottende) vuole ed esige. Non a caso medici e psicologi, sociologi e antropologi, ed oggi anche i legislatori, condividono l’idea che alle identità di genere debba essere garantito spazio e alle persone che vivono questa esperienza tutela e garanzie. Tralasciando ora la parte relativa alle disforie di genere, che rappresetnano solo un aspetto della questione, vorrei parlare dell’orientamento sessuale (che è altro). Come sostenuto da Stefano Rodotà, nella prefazione al testo “l’Abominevole diritto”(Winkler e Strazio, 2011), l’avanzamento legislativo in materia di tutela dei diritti degli omosessuali (e di tutte le diversità) è un metro di valutazione per l’evoluzione di una società, perché non è solo questione di “eguaglianza” ma anche, e soprattutto, di “dignità”.
Le minoranze nella comunità scientifica, per di più identificate con una appartenenza religiosa che contestano questa visione, sono appunto minoranze, che hanno tutto il diritto di dissentire sul modo in cui la società si è evoluta ed è cambiata, ma come personale visione del mondo, che non ha basi scientifiche. Sarebbe miope e scorretto non ricordare che la comunità scientifica internazionale (dove si definisce cosa è ammesso e cosa non lo è, in base ai canoni condivisi) ha espresso una forte condanna, per esempio, contro i difensosi delle teorie riparative il cui esponente più famoso è Nicolosi, della National Association for Research & Treatment of Homosexuality (NARTH), dichiarando che queste metodologie di intervento non sono approvate né sostenute dalla comunità scientifica degli psicologi e degli psichiatri.
Di seguito alcuni esempi di comunicati ufficiali degli ordini degli psicologi e psicoterapeuti in Italia:
Lombardia – Emlia Romagna – Lazio –
Ma anche dal punto di vista reliogioso, ci sono molti distinguo da fare: non tutte le confessioni religiose mantengono posizioni negative nei confronti delle questioni di genere, delle donne o dell’omosessualità, si pensi alla Chiesa Valdese o alla Chiesa anglicana. Nel caso italiano, la Chiesa Cattolica oppone una forte resistenza e nell’ambito della Sua dottrina di fede (cosa del tutto lecita, ma estranea alla scienza) all’omsoessualità, per esempio, esigendo che vengano rispettati determinati costumi nell’esercizio della fede cattolica. Ma non tutti la pensano così, anche nella Chiesa.
Per quanto riguarda la popolazione, è interessante osservare i risultati di una recente indagine ISTAT (2010) a cui è seguito un mio commento su neodemos.it: l’omosessualità non è più considerata una malattia dalla maggioranza degli italiani (74,8%), e nemmeno un qualche cosa di “immorale” (73,0%). Inoltre, secondo gli italiani, l’estensione di certe tutele alle coppie omosessuali non comporterebbe nessuna minaccia per la famiglia (74,8%). Infine, per il 62,8% degli italiani sarebbe opportuna una legislazione ad hoc per tutelare le coppie omosessuali. Una tendenza simile si registra negli USA, dove una recente indagine del Pew Research Center ha indicato come la maggioranza degli americani sia per una completa legalizzazione del same-sex marriage.
Conclusioni
La società muta e con essa i valori che la caratterizzano, questo è un fatto sociale, come avrebbe detto Durkheim e a questo mutamento si oppongono le ideologie e i tradizionalismi, non suffragati da alcuna validità scientifica se non dalle personali ipotesi e convinzioni, anche di certi scienziati, lecite, ma appunto convinzioni personali. Grazie all’introduzione di questa categoria, “gender”, molti passi avanti sono stati fatti nella comprensione del mondo sociale e delle sue dinamiche.
Che il genere possa essere imputato di concorrere alla “distruzione” della società è smentito da studi decennali e da analisi demografiche, ma basta osservare lo “stato di salute” di quelle nazioni in cui la cultura di genere è più evoluta che non in Italia, per esempio nei Paesi nordici, dove il benessere sociale è ampiamente superiore ai luoghi in cui i diritti delle donne e degli omosessuali sono calpestati.