Nella corsa per il Colle potrebbero emergere problemi di conflitti di interessi. Tra i tanti nomi che circolano per la successione di Giorgio Napolitano c’è anche quello dell’attuale ministro della Giustizia, Paola Severino. In caso di elezione, la professoressa della Luiss diventerebbe, in quanto capo dello Stato, anche presidente del Csm, carica che potrebbe creare eventuali conflitti di interessi con la sua precedente professione, quella di avvocato penalista.
E’ quanto sottolinea maliziosamente, in un articolo sul Fatto Quotidiano, Giorgio Meletti, facendo notare che già in passato ci sono stati casi paragonabili a quello Severino. Si tratta dei due presidenti della Repubblica, Enrico De Nicola e Giovanni Leone, avvocati penalisti che però non esercitavano la professione già da diversi anni. Cosa che non può dirsi della Severino – sottolinea il quotidiano diretto da Antonio Padellaro e Marco Travaglio – che ha lasciato la sua attività solo a fine 2011 – per ricoprire il ruolo di ministro con il Governo Monti – e che nel suo portafoglio di clienti vede personalità coinvolte in delicati processi. Giusto per citarne qualcuno: l’ex presidente di Mps, Giuseppe Mussari, l’ex presidente di Antonveneta Andrea Pisaneschi, il legale di Fininvest, Giovanni Acampora e altre personalità come Romano Prodi, Francesco Gaetano Caltagirone, Francesco Rutelli, Lorenzo Cesa e Roberto Formigoni. In più, importanti aziende risultano assistite dal suo studio, quali Eni, Enel, Telecom Italia e Rai, rimarca anche Meletti.
I due pericoli
Secondo l’articolo del Fatto Quotidiano, in caso di elezione di Paola Severino alla carica più importante dello Stato, sarebbero due i problemi all’orizzonte. Anzitutto quello legato al fatto che “molti giudici dovranno decidere se assolvere o condannare imputati la cui difesa è stata impostata dall’attuale presidente della Repubblica e del Csm, l’organismo che a sua volta deciderà delle loro carriere”. Il secondo problema, aggiunge Meletti, è rappresentato dal ruolo dello stesso organismo presieduto dal capo dello Stato. “Il presidente del Csm potrebbe trovarsi a intervenire (nelle forme dovute e nei limiti della legge) su processi che vedono tra gli imputati qualche suo ex cliente o qualche cliente del suo studio in cui oggi lavora la figlia”.
Il giornalista del Fatto mette in guardia dagli enormi imbarazzi che potrebbero crearsi nel caso poi si ripetesse uno scontro come quello avvenuto tra Quirinale e Procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Già in quel caso, infatti, si stava aprendo una vera e propria crisi istituzionale e confusione di poteri e doveri tra magistratura e ragion di Stato, “senza che Napolitano fosse un penalista e Nicola Mancino suo cliente”.