Skip to main content

Perché la Cina spaventa le società straniere. I casi di Glencore e Apple

Export da far invidia e riserve valutarie da record. I dati cinesi mostrano un’economia con il vento in poppa. Ma qual è il trattamento delle società straniere nel Paese? Se le multinazionali europee ed americane sono spinte in Asia dalla prospettiva di sguazzare in un mercato le cui potenzialità sono positive, di certo lo scontro avviene con una regolamentazione che spesso fa carta straccia degli standard commerciali internazionali. Una concorrenza difficile da reggere, soprattutto se si calcolano i sussidi alle imprese locali, da cui invece vengono esclusi i gruppi stranieri.

Glencore ed Apple

Glencore è un gigante nel settore delle materie prime e Apple non ha davvero bisogno di presentazioni nel settore dell’elettronica di consumo. Ma i cinesi, spiega il Financial Times, sembrano badare poco al fatto che abbiano di fronte due colossi a livello mondiale.

Il riesame del procedimento di fusione di Glencore con Xstrata da parte del governo cinese ha costretto il gruppo a rimandare ancora una volta l’accordo sul deal da 76 miliardi di dollari. Apple, nel frattempo, ha dovuto scusarsi pubblicamente e modificare la sua policy sulla garanzia. Le accuse della stampa di Pechino? Aver adottato politiche di customer service che discriminano i clienti cinesi, e aver fornito risposte inadeguate e arroganti alle lamentele.

Le scuse di Cupertino alla Cina

La controversia con Apple è un esempio del maldestro tentativo di gestire un problema societario. La protezione del consumatore, certo, è lodabile, ed è stata una mancanza seria del passato cinese. Ma la legge sulla garanzia, se rafforzata, porta la protezione del consumatore al massimo. Le sostituzioni dei prodotti implicano una nuova assistenza valida un anno, con la possibilità di rigirare la clessidra del tempo ogni volta. E, dopo il precedente di Apple, è possibile che i consumatori cinesi chiederanno la stessa tutela anche per i prodotti di società nazionali di elettronica come Huawei e Lenovo. Un bell’autogol per Pechino.

La Cina regolatrice

Il trattamento di questi colossi industriali sottolinea l’ascesa e il rafforzamento della Cina non solo come mercato per i produttori stranieri, ma anche come regolatore. E Pechino brandisce questo potere per decidere policies che influiscono fortemente sulle operazioni delle multinazionali in Cina e all’estero.

Da ruletaker a rulemaker

Negli scorsi 35 anni la Cina è stata risucchiata nel vortice dell’economia internazionale. Ha fatto riferimento alle regolamentazioni degli altri Stati, aderendo a convenzioni, non sempre rispettando la disciplina prevista e stabilendo nuove regole lungo la strada del commercio internazionale. E, secondo gli esperti, da ruletaker si è trasformata in un vero rulemaker.

La difesa esclusiva degli interessi nazionali

Ma che tipo di regolatore sta diventando il Dragone? Il luogo comune resta sempre il solito: la Cina difende sfacciatamente i suoi interessi nazionali e in pochi si preoccupano dei colpi inferti alle società straniere. Certo, i casi di Glencore e Apple mostrano che, in fondo, qualche verità nei luoghi comuni esiste ancora.

Gli ostacoli ai merger stranieri

Come dimostra il colosso delle materie prime, l’applicazione della legge cinese sulla concorrenza è stata abbastanza carente, e del tutto sbilanciata. Se sono state imposte condizioni particolari ai quasi venti merger che, dal 2008, hanno visto protagoniste società straniere, non si è perso tempo  nell’autorizzare operazioni che riguardassero società nazionali.

L’inesperienza

Le mancanze della Cina regolatore non sono semplicemente il frutto dell’avversione interna per i gruppi stranieri. Sono anche l’inesperienza di base e i limiti delle competenze a rappresentare dei problemi. Come seconda economia al mondo, la potenza della Cina è fuori questione. In breve, è un gigante che cresce ancora in cerca del suo equilibrio. Il primo trattato di libero scambio, con l’Organizzazione delle Nazioni del Sudest asiatico, ha meno di dieci anni. Il suo primo statuto dei lavoratori è entrato in vigore nel 2008. Le leggi antimonopolio festeggiano il loro quinto anniversario ad agosto.

Niente spazio per le lobbies

“D’altra parte – spiega al Financial Times l’esperto della Indiana University Scott Kennedy – nel Paese c’è ancora poco spazio per l’attività di lobbying. Il ministero del Commercio deve ancora capire qual è il vero interesse del Paese e cosa vuole l’industria. A volte si trovano a difendere interessi che non sono davvero nazionali, ma restano convinti che lo siano”. Non si tratta di una vera cospirazione contro le società straniere. Ma il peso e l’influenza della Pechino regolatrice superano le sue competenze in materia.



×

Iscriviti alla newsletter