Questo no, quello neanche. Dopo il ministro della Giustizia Paola Severino, finiscono sotto i riflettori del Fatto Quotidiano altri candidati per la presidenza della Repubblica. Si tratta del presidente del Senato, Pietro Grasso, dell’ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, dell’ex presidente del Senato, Franco Marin,i e di Luciano Violante, uno dei saggi nominati da Napolitano per elaborare dei progetti di riforma per il nostro Paese.
La prima pagina del quotidiano diretto da Antonio Padellaro e Marco Travaglio è tutta dedicata a loro e si intitola “Sul Colle non li vogliamo. Chi è troppo anziano (Marini), chi ha giocato su troppi tavoli (Amato), chi come Violante è stato a sinistra e ora piace molto a Berlusconi, chi è al centro di troppe polemiche (Grasso). E poi la Severino, legale dei poteri forti. Possibile – si chiede il quotidiano diretto da Antonio Padellaro – che il nuovo Capo dello Stato non possa essere un nome nuovo e super partes?”.
Paola Severino
Come già anticipato, Padellaro e Marco Travaglio ritengono non opportuna l’elezione dell’attuale ministro della Giustizia alla carica più importante della Repubblica. Il pericolo di conflitti di interesse sarebbe troppo alto. “Non sarebbe prudente mandare al Quirinale, cioè alla guida del Consiglio superiore della Magistratura, un penalista di tale levatura. Bisogna evitare il rischio che il prossimo presidente sia tentato di occuparsi direttamente di processi controversi dei quali magari solo pochi anni prima si sia occupato come parte, come difensore di qualche imputato”.
Pietro Grasso
Non desta sorpresa l’inserimento del neo presidente del Senato nella lista nera del Fatto Quotidiano, dopo l’acceso scontro in tv con Marco Travaglio. Contro Grasso ci sarebbe il suo curriculum. “Nel 2000 decise di non firmare la richiesta di appello della procura di Gian Carlo Caselli sul processo Andreotti. Anni dopo, quando lo stesso Caselli concorreva alla Direzione Nazionale Antimafia, il centrodestra di Berlusconi si inventò una norma contra personam” che “eliminò il giudice torinese dalla competizione, lasciando al solo Grasso la competizione”. Infine, prosegue il Fatto, “Grasso è quello che nel maggio 2012”, durante un’intervista a La Zanzara disse che “avrebbe dato ‘un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia’”.
Giuliano Amato
Anche l’ex presidente del Consiglio sarebbe da escludere perché la sua pensione da 31 mila euro fa di lui un “emblema della Casta politica e ‘tecnica’ allo stesso tempo”. Silvio Berlusconi già provò a candidarlo “sette anni fa per la successione a Ciampi”. Amato è stato il protagonista della “stagione lacrime e sangue fatta vivere agli italiani” durante la Seconda Repubblica. “La sua specialità è muoversi nell’attesa, con grande scaltrezza. Posizionarsi, capire dove butta il vento, farsi trovare al posto giusto. Quando Berlusconi si dimise, due anni fai, i falchi del Pdl volevano proporlo a Napolitano al posto di Monti”.
Franco Marini
Secondo il quotidiano di Padellaro e Travaglio sarebbe soprattutto l’età a tirare fuori dai giochi l’ex presidente del Senato, che pochi giorni fa ha compiuto ottant’anni. “La profonda crisi del nostro Paese non può essere affrontata da presidente anziani”. Motivo che escluderebbe anche un altro candidato al Colle, il presidente del Censis Giuseppe De Rita, ultraottantenne. In più, Marini “non si è distinto nemmeno per una gestione impeccabile dell’aula del Senato”, visto che in occasione della sfiducia al Governo Prodi non fermò le esultanze dei senatori Domenico Gramazio e Nino Strano che stapparono spumante e mangiarono mortadella. “Colleghi non siamo in un’osteria”, commentò solamente l’allora presidente del Senato.
Luciano Violante
Piace troppo al Pdl. E’ questa la macchia dell’ex presidente della Camera, che nel 2003 arrivò persino a dichiarare in aula a Montecitorio che “la sua parte politica si era accordata con Silvio Berlusconi per non fare il conflitto di interessi e non dichiarare ineleggibile il Caimano”.
Emma Bonino
Anche la radicale Emma Bonino, che i sondaggi indicano esser il candidato ideale per gli italiani, non sarebbe il capo dello Stato ideale. In un editoriale, però, Marco Travaglio fa presente, tra le altre cose, la lunga carriera politica della Bonino (8 volte parlamentare italiana e 3 volte europea), la partecipazione a una riunione del gruppo Bilderberg, così come la troppa vicinanza a Silvio Berlusconi sin dal 1994. “Sulle questioni cruciali del berlusconismo (leggi vergogna, rapporti con la mafia, corruzioni, attacchi ai magistrati e alla Costituzione, conflitti d’interessi, editti bulgari e postbulgari), risulta un solo monosillabo della Bonino”. Anche l’immagine di pacifista sarebbe macchiata. “Durante la guerra in Afghanistan – da lei appoggiata come quelle nell’ex Jugoslavia e in Iraq– la Bonino si oppone alla sospensione dei bombardamenti proposta dall’Ulivo per aprire un corridoio umanitario agli aiuti ai profughi (“servirebbe solo ai talebani per riorganizzarsi”, Ansa 2-11-2001)”. E, conclude Travaglio, “a proposito di ambiguità fra torturati e torturatori, ho cercato disperatamente nell’archivio Ansa una parola della Bonino su Abu Ghraib e su Guantanamo. Risultato: non pervenuta”.