Le due principali accuse al Papa emerito Benedetto XVI da parte degli intellettuali laici sono state il suo “clericalismo” e il suo “antimodernismo”. Facilmente confezionate all’indomani dell’elezione al Soglio Pontificio nel 2005, hanno fornito la base per una separazione di immagine del papa tedesco rispetto a Giovanni Paolo II. Non si pretende certo verità, laddove dovrebbe dominare l’opinione, ma quando l’opinione si autoalimenta al punto da diventare artificio, è giusto cercare almeno un confronto con i dati di fatto.
Benedetto XVI papa rivoluzionario
Il “conservatorismo” di Ratzinger è tutto mediatico, non avendo alcun riscontro nella realtà. La questione dell’interpretazione del Concilio Vaticano II rappresenta qui il nodo fondamentale. Quel gigantesco evento venne, per così dire, troppo presto (non troppo tardi!) rispetto alle elaborazioni politiche e ideologiche sulla modernità globale, tanto che la stessa Scuola di Francoforte appare come sottolineatura unilaterale di un solo aspetto della grande dottrina messa in campo nel Concilio. Anticipò e segnò un dibattito sui limiti dello sviluppo (non del progresso) che sta realmente prendendo piede solo negli ultimi anni, in particolare dopo la grande crisi finanziaria iniziata nel 2008. Ed è soltanto la crisi economica che ha reso diffusa la consapevolezza che la crescita non è e non può essere illimitata.
Il nodo della tecnica
La chiave di Ratzinger è che dunque il Vaticano II fu un evento di piena apertura al “futuro”. Non quello delle conquiste tecniche illimitate – che incantano lo sguardo – ma quello dell’Eschaton, del compimento dei tempi. Considerando che “un cielo svuotato non è ancora sufficiente a creare una terra felice”, Ratzinger applaude all’ottimismo dell’apertura all’era della tecnica, che gli intellettuali nietzschiani-heideggariani vedono invece come oscuro Moloch incontrollabile, divinità destinale, a tal punto inebriati dalle loro riflessioni sulla volontà di potenza da dimenticare il carattere strumentale delle realizzazioni tecniche. Tanto da definire la stessa Tecnica con la T maiuscola…
Un progressismo non secolarizzato
Nella linea progressista Ratzinger-Wojtyla anche l’analogia con la Controriforma non regge, anche se contiene un seme di verità. Secondo Bruno Gravagnuolo dell’Unità, la prima enciclica del papa tedesco (Deus in Caritas est, 2006) segnava l’avvio di una nuova Controriforma “capace di attivare le energie ecclesiali, gli ordini, le missioni, il laicato cattolico, in funzione di argine dinamico ai poteri consolidati”. La Chiesa guidata da Benedetto XVI dunque, avrebbe agito come quella cinquecentesca, “radicata nel contado” nemica del “potere assoluto” e schierata contro “l’alleanza tra borghesie nascenti e monarchie” con una funzione di “rappresentanza planetaria e dinamica dei ceti subalterni”. Nell’ottica marxista si coglie un nodo strategico: la Chiesa non avvalla processi secolari che mettono a rischio l’energia di carità universale. Nell’analogia con l’oggi, la trasformazione della civiltà ampiamente urbanizzata in reti concentrate in pochi nodi (le città, le grandi imprese) a carattere tecnologico puro, al servizio dei poteri costituiti e del loro funzionamento. “Smart”, non vuol dire necessariamente “loving”.
Francesco uomo del Sud
In altre parole, si tratta di portare al centro ciò che è marginale, non incensare ciò che è già centrale nel mondo. Il rifiuto del secolarismo, che spesso desta sorpresa o risentimento nei commentatori di parte laica, coincide con il rifiuto di sottrarsi al compito di promuovere la dignità dei poveri e di mettere il povero, l’emarginato al centro. Con il rifiuto cioè di sposare dinamiche vincenti nella società mondana “aggiungendosi al coro”. Per Massimo Cacciari l’elezione del Papa sudamericano segna la fine della Chiesa eurocentrica, il che avrà fortissime implicazioni per la cultura laica. Questa scopre di essere fortemente insediata nel Nord del mondo, in prossimità dei centri decisionali globali dello scorso secolo, ma lontana dalla comprensione di quel Sud trascurato che preme alle porte. Anche con Francesco I e con il suo linguaggio che oggi affascina e incuriosisce, ma che domani potrà apparire scomodo a molti.