Magari la baruffa si cheterà. Forse i toni si abbasseranno. E probabilmente tutto finirà con tante scuse e pure qualche cotillon. Però gli aggettivi che si sono scaraventati in questi giorni Matteo Renzi, Pierluigi Bersani e Anna Finocchiaro (da miserevole a indecente, per ricordare solo i più tonitruanti) non sembrano rientrare nella solita routine politica e di partito.
Certo il teatrino del Palazzo, compreso qualche municipio, prevede pure qualche colpo basso. Ma forma e sostanza del dibattito (ops, meglio dire diatriba) tra esponenti e dirigenti dello stesso partito ha ampiamente superato i limiti della fisiologia per entrare nel campo della patologia.
Anche per questo le prossime primarie del Pd si delineano non più come una competizione dura ma leale, come quella che ha visto prevalere Bersani su Renzi, bensì come un redde rationem definitivo. Semmai ci si arrivi, oltretutto. Infatti con la salita in politica di Fabrizio Barca dalla pianura della tecnica ormai la fisionomia del Pd barchiano somiglia molto più a quella di un Ds-Pds rivisitato (d’altronde non a caso il ministro a Repubblica ha rivelato di aver votato alle ultime elezioni Pd e Sel) che al nuovo che avanza e che si impone.
Una direzione di marcia che specularmente potrebbe indurre Renzi a costruire quel tanto agognato partitone riformatore per sfondare nell’elettorato di centrodestra. Divorzio in vista quindi?
Saranno questi i destini dei Democratici? Chissà. Sta di fatto che con le poco onorevoli baruffe di queste ore si potrebbe ben dire che la sigla del PD non sta più per Partito Democratico ma per Partito Defunto.