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Telecom tra Li Ka Shing e la golden share. Parliamo di sicurezza nazionale?

L’offerta del tycoon di Hong Kong Li Ka Shing a Telecom spiazza gli azionisti, e non solo. I contrasti nel cda lasciano il campo a considerazioni d’interesse generale. Se il deal dal punto di vista industriale rappresenta un’opportunità per l’ammodernamento dell’infrastruttura e per il riposizionamento dei competitor sul mercato, i tempi sullo spin-off della rete potrebbero comportare la possibilità per il governo di esercitare la sua golden share sul gruppo, strategico in quanto proprietario della rete fissa in rame.

Gli utenti

Un affare potenzialmente molto interessante ma anche ad alto rischio operativo: questo è quello che pensa il mercato della fusione Telecom-Tre secondo Stefano Carli di Affari&Finanza di Repubblica. “I numeri ci sono tutti, ma il problema è come la si fa. E a quali costi. I numeri intanto. Quelli di base sono la somma dei clienti mobili: aggiungendo ai 32,1 milioni di utenti Tim i 9,5 di Tre si arriva a 41,6 milioni di utenti, che ne farebbero il primo operatore mobile italiano”. Ma il rischio (teorico) maggiore è che i “maggiori vantaggi dalla fusione possano trarli i due concorrenti ‘residui’, ossia Vodafone e Wind. Molto più importante invece che l’operazione abbia la capacità di sviluppare effetti superiori alla semplice somma dei singoli componenti. E questa possibilità, a detta degli analisti, c’è”.

Il vantaggio per l’infrastruttura di rete

I veri vantaggi della fusione sono invece da ipotizzare in due fattori ben precisi: l’infrastruttura di rete e il posizionamento di mercato. Il primo fattore – secondo Carli di Repubblica – è importante perché parla delle strategie di investimento e del valore degli asset in gioco. La rete mobile di Telecom Italia è storicamente più ampia di quella di Tre, le antenne sono di più, sia per capillarità che per potenza. Ma la potenza è anche funzione del numero di clienti che ogni antenna deve servire e siccome Tim ha il triplo degli utenti di Tre questo dato da solo non basta a giudicare l’efficienza della rete. Sta invece di fatto che Tre ha investito molto negli ultimi anni proprio sulla capacità delle sue antenne. Oltre l’80% della popolazione italiana è coperta in Hspa+, che significa un picco di banda che arriva a 42 mega al minuto, tanto che gli americani già con questo standard parlano di 4G. La maggior parte della rete mobile di Telecom è invece posizionata su un’offerta di banda che non supera quasi mai i 21 mega dell’Hspa ‘semplice’. Il fatto è che la rete di Tre per comune opinione egli addetti ai lavori, è sicuramente la più veloce che ci sia in Italia in questo momento”, spiega Carli.

La complementarietà tra le reti tra Telecom e 3Italia

“Se si aggiunge che nell’asta di un anno fa Tre non ha ottenuto frequenze 800, le più costose, si capisce perché in questa fase i suoi concorrenti debbano investire di più sull’Lte: essendo più avanti quanto a banda larga, non debbono ora correre per recuperare terreno. In sintesi, le due reti mobili hanno un buon tasso di complementarità”, osserva Carli.

Il posizionamento di mercato

Il secondo fattore riguarda invece il posizionamento di mercato. “E anche qui le notazioni positive sono in maggioranza. L’ad Vincenzo Novari sta posizionando Tre su posizioni da low cost. Ora, se la fusione andasse in porto, sarebbe logico attendersi che nessuno dei due marchi andrebbe a sparire ma si dividerebbero invece con più cura i rispettivi mercati. Riducendo così i rischi di una ‘fuga’ di abbonati verso Vodafone, Wind, o verso gli operatori virtuali, in primis PosteMobile”, conclude Carli.

Le richieste della politica a Passera

Ma la strategicità del gruppo, oltre agli interessi societari, scalda anche il dibattito politico. Paolo Gentiloni, responsabile Itc del Pd, ha chiesto al Presidente Monti e al ministro Passera di “riferire urgentemente in Parlamento sul negoziato in corso tra Telecom e H3g”, stessa richiesta avanzata dal vicepresidente Pdl del Senato Maurizio Gasparri, già ministro delle Comunicazioni. “Se Telecom finisse sotto il controllo del gruppo cinese – ha aggiunto Gentiloni – si tratterebbe di un fatto senza precedenti tra i grandi incumbent dei Paesi europei. Un fatto carico di ovvie implicazioni strategiche per l’Italia, oltre che di ripercussioni per tutto l’indotto del settore”.

La tempistica sullo spin-off

Come ha sottolineato Antonella Olivieri sul Sole 24 Ore, nel settore delle comunicazioni sono strategiche, precisa lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, “le attività individuate nella realizzazione e nella gestione delle reti e degli impianti utilizzati per la fornitura dell’accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale”. Il governo avrebbe dunque voce in capitolo a fronte dell’intervento di un soggetto extra-comunitario. Ma è la rete che conferisce strategicità a Telecom, senza la quale la golden share non sarebbe applicabile. È vero che il distacco societario della rete (finora si parlava solo della parte finale dell’infrastruttura che arriva agli utenti) è entrato in fase operativa, ma per arrivare a conclusione il processo richiederà almeno un altro anno e mezzo”.

L’opinione di Mucchetti

Secondo Massimo Mucchetti, già editorialista del Corriere della Sera e ora parlamentare del Pd, “nelle valutazioni delle parti private va dunque inserita anche una presa di posizione del governo su quanto coinvolge gli interessi del Paese. Questi interessi – ha scritto Mucchetti sull’Unità – sono due. Il primo è la modernizzazione dell’infrastruttura attraverso le next generation networks. Sono otto anni che se ne parla. Ma finora Telecom Italia, prima con Marco Tronchetti Provera e poi con franco Bernabé, ha sempre frenato a tutela dei propri interessi aziendali e il governo, non avendo soldi veri da mettere sul tavolo, si è limitato alle prediche. Il secondo interesse è la sicurezza nazionale. Quando sarà il momento, dunque anche tra poco, il governo dovrebbe avvertire che la golden share non verrà usata per fermare l’operazione se almeno la sicurezza nazionale relativa alla rete verrà garantita”.

La sicurezza nazionale nelle mani della Cdp

“I tecnici – prosegue Mucchetti – suggeriscono di scorporare le parti più delicate della rete, l’access network e l’edge network, dove operano i routers di diversi produttori, e di concordare opportuni controlli da parte dell’Agcom sul core network, organizzata soprattutto con i grandi routers Cisco. Nella società della rete scorporata potrà entrare il fondo strategico della Cassa depositi e prestiti garantendo a un tempo una dotazione di capitale di rischio non necessariamente enorme per finanziare gli investimenti che oggi Telecom non fa e al tempo stesso la sicurezza nazionale. Che è meglio protetta dalla mano pubblica rispetto a soggetti privati che possono essere più facilmente coinvolti da potenze straniere in giochi senza frontiere”, conclude.



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