Giorgio Napolitano ha annunciato che domani, in occasione del giuramento, spiegherà “i termini” entro i quali ha accettato un secondo mandato.
I più hanno pensato a limiti temporali, anche se un presidente non viene eletto (e neppure rieletto) a scadenza. In realtà, sono piuttosto delle condizioni politiche. Chi ha avuto modo di parlare con coloro i quali si sono recati supplici in ginocchio lungo la scala santa del Quirinale, ha capito che il presidente vuole un chiaro mandato per:
1) un governo che governi; 2) un programma che segua i due documenti dei dieci saggi, affrontando l’emergenza economica e quella istituzionale (soprattutto la legge elettorale); 3) una scelta che rassicuri i partner internazionali (non solo l’Unione europea, ma gli Stati Uniti che hanno fatto il tifo in modo esplicito per un Napolitano bis).
La prima conseguenza è che le elezioni anticipate si allontanano. C’è chi dice che il presidente chiede assicurazioni ai partiti affinché il prossimo governo abbia tre anni di tempo; difficile prevederlo, certo si dovrebbe arrivare almeno al voto europeo che, nella primavera prossima, daranno il polso dei nuovi equilibri politici. Comunque, il prossimo Parlamento dovrà essere scelto con un nuovo sistema elettorale (sistema, non solo tecnica di voto, perché è intenzione del presidente che si riformi anche il bicameralismo).
La seconda conseguenza è squisitamente politica: Beppe Grillo è riuscito con notevole astuzia a dividere il Pd con la candidatura civetta di Stefano Rodotà, ma adesso viene emarginato. La sua forza politica era la battaglia sui due fronti: nelle piazze e in Parlamento. Gli restano le piazze, anche se la figuraccia della contromarcetta su Roma ne ridimensiona la figura di tribuno, dopo che Napolitano ha cancellato la sua immagine di politico più o meno improvvisato.
Grillo ha evocato il golpe, ricordando probabilmente il 1958 in Francia, il generale de Gaulle, e un François Mitterrand non ancora leader socialista che gridava al “golpe bianco”. Forse rammenta anche come finì l’esperienza populista di Pierre Poujade, capo del movimento dei commercianti e degli artigiani, fustigatore del parlamentarismo (e contro “l’ebreo” Pierre Mendes-France, vedi un po’ i corsi e ricorsi della storia). Nel 1956 ebbe un grande successo nonostante fosse penalizzato da un premio di maggioranza capestro. Tra i suoi sostenitori c’era anche Jean-Marie Le Pen (come oggi Forza Nuova, vedi un po’ i corsi e ricorsi della storia). Con la Quinta Repubblica, il poujadismo entrò in un cono d’ombra e venne poi riassorbito. Prese il testimone Le Pen che la volpe Mitterrand usò per togliere voti ai gaullisti, mantenendolo però fuori dal Parlamento (vedi un po’ i corsi e ricorsi della storia).
E’ quel che teme il comico-politico il quale conosce la Francia e nei primi anni ’80 ha frequentato Colucci in arte Coluche, suo diretto predecessore. Grillo, con la vittoria di Napolitano, ha visto all’orizzonte il rischio del proprio declino, schiacciato nella pura protesta, senza capacità di manovra, assorbito dal nuovo partito di sinistra che Fabrizio Barca vuol creare con un pezzo del Pd, più Sel, Ingroia e altre spezzoni gauchiste. Mentre a destra il ritorno del Pdl in una posizione chiave, con una Lega manovriera non più emarginata, può riassorbire una parte dello scontento che ha dato al Movimento 5 Stelle almeno un terzo dei voti.
Napolitano ha costruito un capolavoro politico. Non voleva un bis. Ma l’esito delle elezioni lo ha reso quasi inevitabile anche ai suoi occhi. Roberto D’Alimonte scrive che senza quella non vittoria del centrosinistra, tutto questo non sarebbe accaduto. A questo punto, Napolitano ha fatto ricorso a tutta la sua antica esperienza alla scuola di Togliatti. Ha insistito fino in fondo sul “no, grazie”. Ha cercato di convincere Bersani a puntare su Giuliano Amato. Ha visto emergere e naufragare miseramente Marini e Prodi. Ha assistito con dolore alla frantumazione del Pd anche se egli stesso capiva che era ormai inevitabile. A questo punto, ha compiuto il gran gesto. Adesso si apre una fase inedita, con un rimescolio accelerato dell’offerta politica a sinistra che non potrà non coinvolgere anche la destra. Che la festa cominci.
Stefano Cingolani